MALATO TERMINALE PERCHE’ NON HA IL SENSO DELLO STATO

Le dichiarazioni fatte dal Segretario del PD, Pierluigi Bersani, come commento ai risultati elettorali, sono la cartina di tornasole dell’incredibile crisi di identità di una sinistra ormai staccata dal Paese reale e che, vivendo in un paese virtuale, sta tirando avanti come una specie di malato terminale. Si, affermare, infatti, che ‘dal voto non giungono elementi di sfiducia’ verso il proprio partito e, addirittura, dichiarare, senza scoppiare a ridere, che si può parlare ‘di inversione di tendenza’ è la dimostrazione lampante del totale isolamento dalla realtà.

La battuta più feroce, nei confronti di Bersani, l’ha espressa il Grillo genovese che lo ha liquidato con un “delira, rimuovetelo”. Ma non è l’unico. Altri, 49 senatori, hanno sottoscritto una lettera indirizzata al Segretario; altri ancora lanciano proclami; ed altri, esterni (?) al PD, come Di Pietro, affondano la lama nella ferita è chiedono un passo indietro al vecchio gruppo dirigente e la promozione di una nuova generazione di quadri. Ma nel tempo necessario perché essa nasca, cresca e si affermi, lui ‘soldato e non generale’, come si è autodefinito, può candidarsi a guidare la sinistra.

Pochi, pochissimi, però, hanno fatto analisi serie e proposto percorsi concreti, e fra essi, quel Niki Vendola che ha stracciato, mortificato e sconfitto il leader maximo della sinistra post e neo comunista a cui è rimasta ormai solo l’etichetta di leader e quella di maximo, dato che nelle analisi dimostra un totale obnubilamento che lo fa continuare, infatti, ad arrovellarsi il cervello su tattiche e giochi di corridoio contro l’eterno rivale Ualter Veltroni. Vi è di più. Persevera nell’errore dell’isolamento rifiutando il dialogo sulle riforme con la maggioranza e bollando come ‘scellerate trasversalità’ ipotesi di accordi col nemico giurato Silvio Berlusconi.

Quel che dimostra che non c’è speranza, per i sinistri, di un loro rientro nell’agone politico vero non è solo lo snobbare quanti dichiarano che si rischia di restare al palo per molti anni, quanto l’atteggiamento del Bersani che dinanzi agli attacchi non trova di meglio che dichiarare che vuole parlare con tutti, dai 49 senatori protagonisti del ‘pronunciamiento’ allo stesso Grillo. Si continua a pensare, quindi, che tutto possa essere ricondotto a incontri, trattative, confronti ed accordi, dimenticando che a muovere idee e persone sono solo le politiche, le scelte vere che per essere tali non debbono, per forza, essere diverse da quelle della maggioranza.

Le scelte vanno commisurate agli interessi dei cittadini, alla costruzione di un Paese normale, alla fuoruscita dalla crisi, al ripristino della divisione dei poteri, all’isolamento ed alla messa fuori gioco dei settori più scatenati della magistratura che deve ritornare ad essere semplice gestione della giustizia senza ‘missioni di redenzione della società’, alle scelte economiche che guardino all’interesse dell’Italia, alla riforma del fisco ed al suo federalismo, alle decisioni sulle grandi opere, in una parola ad un serie di scelte che dimostrino il ritorno, di questa importante forza politica, tra quelle che hanno il senso dello Stato.

La gente ha espresso il suo disappunto, con l’astensione o con il cambio di schieramento, anche perché non condivide atteggiamenti che considerano positive alcune scelte se a farle è il centrosinistra, e negative se sulle stesse si impegna il centrodestra. Riforma dello Stato, grandi opere, Ponte sullo Stretto, energia, interventi militari all’estero, sono tutti esempi di scelte tattiche contingenti senza alcun senso dell’interesse vero della Nazione.

Senza il ritorno ad una politica che abbia respiro nazionale, sarà impossibile rientrare nel gioco dell’alternanza, e tutto si ridurrà con o senza Bersani ad inseguire le estremizzazioni che a turno faranno Di Pietro, Grillo, popolo viola, magistratura militante e, dulcis in fundo, quello che produrrà l’eterna lotta tra D’Alema e Veltroni. L’Italia con le scelte sulle regionali ha già detto che non gli interessano.
Giovanni ALVARO

Reggio Calabria 2.4.2010

IL DITO TRA MOGLIE E MARITO, SE SI RISCHIA IL BASTONE TRA LE RUOTE

Un vecchio detto recita che non bisogna mai mettere il dito nelle vicende che si aprono tra due coniugi. Ed è un adagio, tutto sommato, positivo. Il tirarsi fuori dallo scontro (il non mettere dito) evita lo schierarsi che, il più delle volte, aggrava la tensione tra i due ‘contendenti’ e non aiuta la riconciliazione. Esso va rispettato fin quando lo ‘scontro’ ha conseguenze solo personali. Ma non può essere così se dallo scontro ci sono ricadute che coinvolgono altri interessi.

Oggi, senza alcun dubbio, ci si trova in questa seconda ipotesi. Basta vedere con quanta ‘voracità’ ci si è buttati sul boccone, veramente inaspettato, che la sinistra di questo Paese si è trovato di fronte. L’interessarsi del problema, quindi, nasce dal fatto che il Presidente del Consiglio che, viaggia con un consenso incredibile, rischia di vedere interrotta la propria lunga luna di miele con il popolo italiano con tutto quel che ne consegue in riferimento alle scelte riformiste, al rinnovamento dell’Italia, al rafforzamento dell’appeal internazionale del Premier.

Stando così le cose, nessuna giustificazione è accettabile, dall’attacco di gelosia, alla difesa dei figli, alla sindrome di moglie trascurata. Bisogna, invece, ricordarsi la sopportazione e la lungimiranza, di altre mogli che hanno totalmente ignorato quanto è avvenuto sotto un tavolo della Sala Ovale della Casa Bianca, o le scelte di altre che, troncando ogni rapporto, hanno lasciato l’Eliseo. Ma neanche può pensarsi ad uno scivolone imprevisto e non preventivato perché non è la prima volta che il Presidente vien messo alle corde dalla propria consorte, a cui vengono assicurate le prime pagine dei giornali, non certamente perché si chiama Veronica Lario, ma perché essendo la moglie di Silvio Berlusconi può venire usata, con sapiente stimolo del suo amor proprio, come grimaldello per rompere il fortilizio del forte consenso accumulato.

Le uscite della signora Veronica, tra l’altro, sono inversamente proporzionali ai picchi sempre più alti di questo consenso. Sono lontani i tempi del pacifico ed amorevole “credo di essere stata una moglie perfetta per Silvio, per l’uomo che è. Ha potuto concentrarsi su se stesso e il suo lavoro, avendo una moglie che non gli ha fatto pesare –racconta nel libro Tendenza Veronica- la sua assenza all’interno della famiglia, non ha creato rivalità e non gli ha mai fatto la guerra”. Ma poi si sono fatte sempre più stringenti le scudisciate. Dalla prima, giustificata dal “morso della gelosia”; all’articolo pubblicato su Micromega (nemico giurato di Berlusconi) pro pacifisti; fino alle dichiarazioni pro referendum sulla fecondazione assistita.

Ma il clou delle dichiarazioni-scudisciate avviene con l’articolo su Repubblica (altro storico giornale nemico) col quale la signora Veronica chiede, al marito, pubbliche scuse per una delle tante innocenti estemporanee battute fatte dal Premier nei confronti di una bellezza femminile. Berlusconi lo fa e il caso rientra. Ma più tardi fa anche di più: suona una serenata alla moglie quando Veltroni, dopo una serie di complimenti (personalità di primo piano e grande autonomia intellettuale) la invita ad iscriversi al PD. La moglie è lusingata della serenata e anche Berlusconi apprezza molto il netto rifiuto di Veronica alla sirena Veltroni.

Oggi la storia continua. Non sappiamo se forse ci ha preso gusto, e le piace occupare la scena, ma a che le serve mettere continuamente in difficoltà il marito? Perché invece di dire ciò che pensa, non pensa prima a ciò che deve dire? Non guasterebbe riflettere, e riflettere a lungo sulle conseguenze di quanto si dice. Questi scossoni non servono a Berlusconi ed al PdL, e non servono al Governo del Paese. E solo ‘ciarpame’ che non serve ai terremotati dell’Abruzzo, ai disoccupati del Paese, e alle popolazioni che vogliono continuare sulla strada del rinnovamento e delle riforme.

Certo non si vuol mettere alcun dito tra moglie e marito, ma si vuole evitare che si possano mettere i bastoni sul percorso del Governo.

Giovanni ALVARO
Reggio Calabria 30.4.2009

GIANFRANCO FINI, DEMOCRATICO AFFIDABILE?

Anche se la telenovela di un Fini uomo di sinistra è diventata veramente stucchevole, essa si presta ad alcune considerazioni sulla doppiezza dei post e catto-comunisti, e merita qualche riflessione. E’ un’esigenza che sentono, soprattutto, i socialisti quelli, per intenderci, che hanno rifiutato l’egemonia di lor signori, e sono stati ripetutamente tacciati di ‘tradimento’ perché ad un’alleanza ‘normale’, a sinistra, hanno preferito fare una scelta di campo considerata ‘scandalosa’.

Ricordano un po’ tutti, ma soprattutto gli interessati, che il liet-motiv della polemica era rappresentato dal disgusto per un’alleanza con gli ‘eredi del fascismo’ rappresentati dai vecchi ma anche dai nuovi dirigenti dell’ex MSI. In particolare veniva attaccato proprio Fini, e a nulla serviva dire che, dopo Fiuggi essi si erano ‘mondati’ del peccato originale rappresentato dall’essere uomini provenienti da una ideologia sconfitta dalla storia, ed erano ormai una forza genuinamente riformista e sicuramente democratica.

Valevano, nel ragionamento dei socialisti craxiani, le scelte garantiste e riformiste decise da AN assieme all’intera coalizione, prima, della Casa e, dopo, del Popolo delle Libertà. Per anni, invece, gli ex comunisti hanno coperto di contumelie ed indicato al pubblico ludibrio quanti risultavano alleati di Silvio Berlusconi e di Gianfranco Fini.

Ma son bastate alcune dichiarazioni del Presidente della Camera per cambiare registro e musica. Non le dichiarazioni tipo: ‘le leggi razziali sono state un’ignominia’, o addirittura ‘il fascismo è stato il male assoluto’. No, non queste, ma quelle più, terra terra, tipo: – no al cesarismo; – no all’abusato ricorso ai decreti legge; – no alla tassa agli immigrati; – no all’obbligo per i medici a denunciare i clandestini curati; – si al voto agli immigrati; – no al voto delegato ai capigruppo; ed altre simili. Non, quindi, le dichiarazioni che dimostravano la rottura col proprio passato ideologico, ma le dichiarazioni che potevano essere interpretate come una presa di distanza dal suo maggiore alleato, cioè il Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi.
E allora Fini diventa un uomo politico con una solida e condivisibile cultura democratica di base, addirittura un democratico di cui ci si può fidare, né più e né meno di un Veltroni prima e di un Franceschini dopo. Anche la proposta, avanzata scherzando, che lo vedeva come novello Segretario del PD, s’inquadra in questo corteggiamento, in questo improvviso innamoramento, che liquida in un colpo solo tutte le frasi fatte sull’uomo nero, il fascista impenitente, l’erede degli stragisti, l’essere immondo da cui tenersi alla larga.

Ebbene: o hanno visto giusto, e in anticipo, i socialisti riformisti e craxiani del Nuovo PSI accettando Fini come alleato, o si pensa di forzare alcune posizioni per puntare, illusoriamente, allo scardinamento della solida alleanza che sta portando verso la costruzione del PdL. Comunque tutte e due le ipotesi sono valide perché se i socialisti avevano visto giusto, aldilà di un’inutile e non richiesta certificazione dell’attuale sinistra, i catto-comunisti strumentalmente pensano di creare problemi ad una coalizione realizzata su dati valoriali e non elettorali.

Si ripete la vecchia storia del Bossi ‘costola della sinistra’. Ma è un giochetto senza respiro politico basato solo su qualche accarezzamento che risulta offensivo dell’intelligenza dell’interessato. Ogni discesa, è opportuno ricordarlo, è anche una salita. Sarà difficile dire domani che Fini è invece un uomo nero.
Giovanni ALVARO

Reggio Calabria, 18.3.2009

LA COLLANA DEI ‘NO’ AL GOVERNO BERLUSCONI

Son passati circa dieci mesi dal varo del Governo Berlusconi e, senza soluzione di continuità, i signori della sinistra post comunista hanno mantenuto fede alle loro tradizioni ed alle loro radici, sviluppatisi sul terreno di un’autentica doppiezza, ed hanno disseminato il campo politico di una serie di NO che, a ruoli invertiti, NON sarebbero stati TUTTI tali. E’ ovvio che si parla solo dei NO espressi su provvedimenti nazionali perché elencare anche quelli periferici sarebbe stato veramente un compito improbo.

Ha iniziato Veltroni non contento della sconfitta subìta, e non pago dei rovesci che si susseguivano ad ogni elezione. Ha continuato Franceschini, anche lui, non ancora soddisfatto delle calamità abbattutesi sull’amalgama ‘malriuscito’ com’è stato definito il PD. Ambedue, comunque, prigionieri dell’inseguimento della loro creatura, tal Antonio Di Pietro che, senza un briciolo di riconoscenza, si sta comportando come quel ‘lupo africano’, il licaone, che sbrana e divora le proprie vittime quando sono ancora in vita. Da qualche giorno, però Franceschini, sembra aver cambiato tattica con il lancio di proposte demagogiche e populiste.

Ma vediamo, in sintesi, le nove perle espresse a gran voce dai dirigenti pro-tempore della sinistra catto-comunista del PD, la sola, per intenderci rappresentata in Parlamento, ma scarsamente sostenuta dall’opinione pubblica.

• Giustizia 1: si è partiti col no al cosiddetto ‘lodo Alfano’ che non annulla i procedimenti penali a carico delle più alte cariche dello Stato ma li rinvia (bloccando, comunque, la decorrenza dei termini). Si è sparato ad alzo zero, minacciando referendum e quant’altro, e presentando la legge come un tentativo d’impunità e non, com’è negli altri paesi occidentali, come un meccanismo per sottrarre, nel periodo di vigenza dell’incarico istituzionale, gli interessati alla gogna mediatica.
• Giustizia 2: anche sulle intercettazioni un deciso no, presentando l’ipotesi di riforma (non di abolizione delle intercettazioni) come un “regalo alla criminalità”, e non per quello che è realmente, cioè la liquidazione degli abusi usati spesso per fini non di giustizia.
• Federalismo: le difficoltà a cavalcare un no netto nascono dalla necessità di lanciare segnali di fumo alla Lega nella non nascosta, ma illusoria, speranza di un nuovo ribaltone. Alla fine, però, prevalgono le categorie dell’unità d’Italia, e del no all’aumento della spesa pubblica e della burocrazia.
• Scuola: ci si ricorda il grande battage contro la Gelmini, il tentativo di cavalcare l’ONDA, l’uso strumentale degli scolari contro lo smantellamento della scuola elementare e il falso licenziamento dei professori in esubero.
• Alitalia: allarmismi ad iosa, accuse di promesse preelettorali, ma nessuna controproposta, e oggi l’Alitalia è di nuovo in attività con una cordata di imprenditori italiani. Si continua a polemizzare sui tre miliardi di debito della compagnia scaricati sugli italiani.
• Grandi opere: un No a TAV, Mose e Ponte sullo Stretto (presentato questo come specchietto per le allodole) a fronte di un’esaltazione del superpiano di Barack Obama teso a bloccare la crisi che ha colpito l’Occidente.
• Social Card: è stata considerata un’elemosina di Stato (dimenticando quanto abbiano ‘gradito’ i pensionati al minimo).
• Nucleare: tenendo conto del nuovo orientamento dell’opinione pubblica, il No alle centrali nucleari non viene espresso per motivi ‘ambientali’ o cavalcando la paura del dopo Chernobil, ma semplicemente perché ‘sarà l’ennesimo spreco di denaro pubblico’, mentre comprare l’energia dalla Francia o da altri paesi confinanti sarebbe un risparmio.
• Piano case: prima ancora di conoscere il piano il Franceschini si è scatenato con un ‘si apre una nuova stagione di cementificazione selvaggia’ ignorando che il piano è una cornice quadro, mentre le azioni concrete spettano alle Regioni (Loiero, per esempio, è d’accordo).

Come si vede sono ‘NIET’ a prescindere che hanno spazzato e continuano a spazzar via qualsiasi possibilità di dialogo che pur servirebbe al Paese, con i tempi che corrono e la depressione imperante. Ma fintanto che si guarda a come evitare scavalcamenti e concorrenze, più o meno leali da parte di alleati, sarà difficile se non impossibile vestire i panni di forza sensibile agli interessi della Nazione.

Anche le ultime boutade di Franceschini non aiutano presentando una forza con corto respiro e senza vere idee per il futuro del Paese.

Giovanni ALVARO

Reggio Calabria, 12.3.2009

NESSUN ONOR DELLE ARMI A WALTER VELTRONI

E’ condivisibile pienamente la prima parte dell’articolo di Vittorio Sgarbi sulle cause che hanno portato Walter Veltroni alle dimissioni, non più rinviabili, da Segretario Nazionale del PD . Sono condivisibili le argomentazioni, ivi inserite, che stanno alla base di un abbandono che non era più procrastinabile, ma che anzi era diventato addirittura un atto dovuto, per evitare di scivolare nel cosiddetto ‘accanimento terapeutico’.

Alle sottolineature sui colpevoli silenzi sulla vicenda di Del Turco, all’incomprensibile inerzia sulla vicenda dell’arresto del sindaco di Pescara, alla soggezione al populismo dipietresco, vanno aggiunte anche la perdita di ogni bussola dinanzi alla questione morale esplosa anche a sinistra, l’incredibile uso del maanchismo con il quale si dava un colpo al cerchio ed uno alla botte, l’allarmismo sugli inesistenti rischi per la Repubblica paventando una deriva antidemocratica, e un lessico fatto solo e soltanto di luoghi comuni. Ma non si può condividere la chiusa finale dell’articolo con la quale Sgarbi rende onore al caduto.

No, non è possibile offrirgli l’onore delle armi come si usa offrire ad ogni caduto. Non lo merita, Veltroni, simbolo di una classe dirigente incapace, inconcludente e, anche, pericolosa. Non lo merita veramente. Pur non essendo maramaldi, usi a infierir sui morti, non riusciamo a perdonargli le grandi responsabilità, non tanto verso il proprio partito (questo è problema che non ci interessa), quanto verso la democrazia del Paese: per l’odio che ha seminato avvelenando il clima politico e per le gemmazioni prodotte che, dopo ‘palombelle’, girotondi, Fo, D’Arcais, verdi, Grilli, sinistre radicali e, più recentemente, Pardi, Cammilleri e Levi di Montalcino, ha portato allo sviluppo incontrollato dell’IDV di ‘proprietà’ del signor Antonio Di Pietro.

No, nessun onore delle armi a chi, dopo 5 sconfitte consecutive (elezioni politiche, regionali Friuli, comunali di Roma, Abruzzo e, ora, anche Sardegna) non ha voluto prendere atto di una realtà semplice e lapalissiana, e, anche durante la propria orazione funebre, ha continuato a seminare bugie ed odio, e ad insultare il Presidente del Consiglio. Non lo ha sfiorato, e questo è sintomatico della pochezza del personaggio, e non solo di esso, che Silvio Berlusconi continua a vincere perché è in sintonia con il Paese, comprende il ‘sentire comune’ della gente, è un passo avanti rispetto al percorso politico degli altri, avversari (non nemici) o alleati stessi. I suoi tempi non sono mai state fughe in avanti, ma anticipazione di scenari.

E’ difficile pensare che l’attuale gruppo dirigente, sia quello che ha sostenuto Uòlter, che quello che brigava (come sempre ha fatto) contro, possa cambiare musica, anche perché la musica di questi anni è stata scritta da più mani. Le vittorie, si sa, hanno molti padri, mentre le sconfitte normalmente sono figlie di nessuno. Nel nostro caso, però, i padri dei rovesci subiti dal PD sono veramente molti. Non può tirarsi fuori nessuno. Sono quasi tutti padri dell’odio, della mistificazione, del giustizialismo, del doppiopesismo, della mancanza di respiro politico, dell’assenza di un vero programma politico, del tornaconto partitico sul cui altare hanno immolato tutti gli utili idioti, sia che si chiamassero socialisti, o che si chiamassero verdi, rifondaroli, comunisti critici, o comunisti nudi e crudi.

Anche la scelta di ‘imbarcare’ solo Di Pietro non può essere stata solo una scelta esclusiva del nostro Veltroni perché, se così veramente è stato, vuol dire che, pur di mandarlo deliberatamente al macello, gli hanno consentito l’innesco di una vera e propria mina con il risultato, non solo, di liquidare il signor Uòlter, ma di liquidare lo stesso partito. Lo stratega di questa operazione va paragonato a quel marito che per far dispetto alla moglie… Buon riposo, signor Veltroni, l’Africa l’aspetta. Avanti un altro.
Giovanni ALVARO

Reggio Calabria 20.2.2009

IL SENATORE ICHINO METTE A NUDO I BLUFF DI BOVA

  • C’è una vecchia prassi comunista che continua ad essere utilizzata senza alcun risparmio quando le parti si invertono e da oppositori si diventa maggioranza, o quando messi alle corde è necessario smarcarsi adeguatamente. In queste operazioni, il Presidente del Consiglio Regionale della Calabria, on. Peppe Bova, è un grande maestro capace di inventarsi le soluzioni più mirabolanti ma in grado di far ottenere, con palese gattopardismo, il mantenimento di quanto veniva prima criticato, sostituendo, chiaramente, i beneficiari.

    Dopo mesi di martellamento sui minigruppi e sul costo della politica, il nostro protagonista ha tirato fuori dal cappello il famoso coniglio: riduzione drastica dei fondi destinati ai gruppi consiliari e, con i risparmi (3 milioni di euro), assieme ad eguale somma avuta dal Fondo Sociale Europeo, finanziamento di ‘stages’ di due anni per 250 giovani laureati, diventati, strada facendo, ben 500 .

    L’operazione viene presentata pomposamente e, forti per aver ridotto i contributi ai gruppi consiliari (sotto tiro perché facenti parte della ‘casta’), viene lanciata l’idea di ‘stages’ giovanili ‘per bloccare la fuga dei cervelli dalla nostra Regione’. L’operazione mediaticamente ha un gran successo, ma scava scava ti accorgi che si tratta di un volgare ampliamento del bacino dei precari che alla scadenza tenteranno di fare quanto hanno già fatto i giovani della legge 285, e, più recentemente, gli LSU ed LPU non ancora, però, sistemati. Altro che ‘cervelli’ da bloccare, sono solo giovani da sistemare nella pubblica amministrazione aggirando le leggi in materia. Infatti sarebbe, non difficile, ma semplicemente impossibile trattenere in Calabria ‘cervelli’ con precarietà occupazionale e retribuzione netta pari a 670 euro mensili (portati recentemente a 900 euro con i risparmi di gestione, per abbandoni, già in questa fase preliminare).

    Contro questa operazione, di scarsa rilevanza sociale e politica, ma di chiara rilevanza clientelare, si scaglia addirittura l’erede di Marco Biagi, il giuslavorista Pietro Ichino (senatore del PD) recentemente insolentito e minacciato dalle nuove BR per essersi costituito nel processo contro le nuove leve del terrorismo nostrano. Il senatore (onore alla sua capacità di non farsi condizionare dall’appartenenza) presenta addirittura una interrogazione ai Ministri del Welfare, della Funzione Pubblica e delle Politiche Comunitarie, su una operazione ‘di natura sostanzialmente assistenziale’ che rischia di avviare 500 laureati calabresi alla ‘NULLAFACENZA’.

    L’interrogazione è firmata anche da Enrico MORANDO, Paolo NEROZZI, Maria Teresa BERTUZZI, Dorina BIANCHI, Franca BIONDELLI, Tamara BLAZINA, Marco FOLLINI, Maria Pia CARAVAGLIA, Antonio RUSCONI, Giancarlo SANGALLI e Luigi VIMERCATI tutti e 11 appartenenti al Partito Democratico di Uòlter Veltroni.

    A Ichino tenta di rispondere non solo il nostro Peppe Bova, messo a nudo dalle concrete argomentazioni del giuslavorista, ma anche il Governatore Loiero (per quanto ancora?), sostenendo che “non mi pare cosa da poco che il denaro che, prima d’ora, a torto o a ragione, veniva impiegato per la tanto vituperata “casta”, oggi sia impiegato per i nostri giovani laureati’. E’ vero, ma non ammantiamo, però, l’operazione ‘stages’ di aureole che non esistono: i soldi che prima venivano usati dai gruppi per costruire la propria ‘clientela’, ora vengono usati dalla Presidenza per lo stesso motivo. Bisogna saper chiamare le cose con il loro nome e cognome, soprattutto ora che lo ha fatto il senatore Pietro Ichino la cui denuncia non può essere tacciata di partigianeria preconcetta.

    L’onnipotenza del Presidente Bova e la sua capacità di adeguare gli scenari su cui intende operare ha trovato chi lo sa rintuzzare adeguatamente. Mai, come adesso, il re è nudo.
    (Giovanni ALVARO)

    Reggio Calabria, 5.2.2009

  • IL FIDEISMO SU DI PIETRO FA VERAMENTE PAURA!

  • Il giustiziere della notte, Antonio Di Pietro , si sentirà sicuramente messo in un tritacarne così come si sentivano, anche per molto meno, i suoi inquisiti che in grandissima parte sono usciti indenni, giudizialmente, dal giogo inquisitorio a cui furono sottoposti. Alcuni non hanno retto alla gogna e, per scelta soggettiva o sviluppo oggettivo, hanno abbandonato questa terra. Doveva aspettarselo, però, il nostro piccolo fustigatore. E non perché è normale che l’inquisitore diventi inquisito, come la storia ci insegna, ma perché quando si costruisce un partito (?), l’IDV, basato solo sulla trasparenza e sull’onestà, sarebbe stato necessario che nell’armadio non ci fossero nè scheletri, nè addirittura qualcosa che gli potesse assomigliare.

    Le difficoltà dell’oggi nascono anche per questo. Se l’opinione pubblica non vuole che il mondo politico sia disonesto, a maggior ragione pretende, da personaggi come Di Pietro, che non ci sia su questo versante veramente nessuna ombra. Se la morale corrente critica i rapporti extraconiugali, la stessa morale li condanna, senza alcun appello, se il presunto protagonista boccaccesco fosse un prete. Sperare di risolvere, quindi, il problema negandolo, o minacciando querele, o parlando di ‘azione criminale’ di qualche giornale, non serve a niente. E’ invece necessario chiarire ogni piccolo particolare. Solo chi vuol tenere gli occhi chiusi si accontenta dell’ipse dixit, anche se purtroppo, tra i suoi seguaci, c’è chi ha deciso di tenerli saldamente chiusi. Non tutti però.

    Alcuni sono rimasti sconcertati, delusi e amareggiati per l’evidente contrasto tra il predicare e il razzolare, ed hanno preso decisamente le distanze dall’incantatore targato IDV. Gli perdonavano tutto, proprio tutto, dall’assenza di respiro politico agli strafalcioni grammaticali, ma non l’ipotetica sporcizia sulla bandiera della moralità. Altri invece, sentendo scricchiolare le certezze che avevano, avrebbero deciso di vedere fino in fondo l’attuale ‘partita’, sperando d’essere aiutati a uscire dal guado in cui si sono venuti a trovare anche per evitare di dover confessare a se stessi quanto siano stati ingenui e incauti nella scelta del cavallo su cui avevano puntato le loro speranze. E, infine, c’è chi ha considerato, e considera tuttora quanto sta avvenendo, solo frutto di quel demonio di Berlusconi che una ne fa e cento ne pensa, e si rifiuta addirittura di leggere quanto scrivono molti giornali, non più solo il Giornale della famiglia demoniaca, ma anche altri come ad esempio lo stesso Corriere della Sera.

    Questa terza categoria fa veramente paura. A differenza dell’articolo dell’avvocato Li Gotti che ha solo il sapore dell’aggressione nei confronti del Direttore de il Giornale, e quello della ‘captatio benevolentiae’ nei confronti di chi decide vita o morte politica dei propri parlamentari, è il fideismo esasperato che fa tremare i polsi e le vene d’ogni sincero democratico. Perché il fideismo porta a rifiutare l’approfondimento della vicenda, porta ad ignorare quanto dicono gli ‘altri’, si pasce della verità sola e unica del suo predicatore, accoglie a occhi chiusi il ‘verbo’ del capo perché non può essercene un altro al di fuori di quello, spinge a inveire, offendere, attaccare e minacciare. I blog di Di Pietro e dell’IDV sono letteralmente infarciti di ogni contumelia.

    Non c’è dubbio che si tratti di un pezzo di ‘popolo’ assolutamente minoritario, che ragiona con la pancia, e che considera la campagna mediatica una terribile invenzione dei nemici del proprio idolo. Esso, l’idolo, era, è e sarà sempre immacolato. Ma anche un pezzo minoritario, incolto, retrogrado e qualunquista, può diventare un pericolo se trova, come ha trovato, un proprio discreto organizzatore le cui iniziative spingono verso derive populiste e verso sbocchi impensabili.

    Quanta responsabilità, signor Veltroni, si è assunto nella cronaca odierna che ogni democratico si augura non diventi mai storia!

    Giovanni ALVARO

    Reggio Calabria, 13.1.2009

  • GRAZIE A CRISTIANO DI PIETRO, FORSE…

    Clemente Mastella, in modo accorato, ha dichiarato che non avrebbe osato pensare a cosa sarebbe successo se una telefonata come quella del ‘pezz’e core’ Cristiano Di Pietro fosse stata registrata sulla propria utenza telefonica. “Per molto meno -ha continuato- mia moglie Sandra è stata arrestata, ed io ho dovuto lasciare il Ministero di Grazia e Giustizia, il partito, la carriera politica”. Con questa battuta il caro Clemente ha sintetizzato il doppiopesismo giudiziario esistente in Italia che, proprio per l’affermazione che lo ha basìto, sembra essergli nuovo e inedito.

    No, caro ex Ministro di Grazia e Giustizia, non c’è nulla di nuovo oggi nell’aria, anzi è tutto antico. Solo chi non ha voluto vederlo, non s’è accorto che venivano usati, e non solo dai media, due pesi e due misure, a seconda dell’appartenenza politica dei soggetti interessati. Solo chi, spinto a ingraziarsi l’ordine considerato ‘invincibile’, e anche per questo impegnato a neutralizzare quanto realizzato dal precedente Ministro on. Castelli, poteva far finta di non scorgere la realtà che scivolava sempre più verso una deriva incontrollabile, e dimostrarsi così un marziano scandalizzato.

    C’è una frase però dell’ex Ministro che merita un’approfondimento, ed è quella con la quale Mastella ha affermto: “A Di Pietro pare che tutto sia concesso. Sembra che molti ne abbiano paura”. E’ una frase che rispecchia fedelmente il pensiero che hanno molti, anche all’interno dello stesso Partito di Veltroni, che continuano a non spiegarsi, prima l’alleanza con Di Pietro a scapito di comunisti, socialisti e verdi, e poi il continuo inseguire le sue iniziative populiste; l’appiattimento sul suo credo giustizialista; e l’accettazione dei suoi candidati imposti a suon di provocatorie affermazioni pubbliche. Non si dimentichi che in Abruzzo il candidato a Governatore era un uomo di Di Pietro che il PD ha dovuto, obtorto collo, ingoiare col risultato super deludente registrato a spoglio concluso.

    Ma, se veramente Uòlter e il più ristretto gruppo dirigente dei PD, hanno paura del nostrano mini Robespierre, c’è qualcosa che non è ancora emerso e che è necessario far emergere. Forse, per questo, bisognerebbe tornare indietro con la memoria e capire la vicenda della valigetta, piena di soldi di Gardini, seguita da Di Pietro fin sul portone di Botteghe Oscure e quindi letteralmente scomparsa: perché oltre quel portone non si è trovato chi NON POTEVA NON SAPERE. Ma anche in questo caso la verità sarebbe solo parziale, perché se fino ad ieri poteva avere un significato la difesa della propria impunità oltre quella della propria diversità morale, oggi, dopo che Donegaglia (ex grosso dirigente delle Coop rosse) ha deciso di aprire il rubinetto dei propri racconti svelando i meccanismi della corruzione rossa, non lo si capisce più.

    O forse tutto va ricondotto al fatto che Violante non è più visibilmente accreditato come referente unico del fronte giudiziario, ed al suo posto si è insediato il nostro piccolissimo nuovo Torquemada che però pensa solo a rafforzare il proprio ruolo nel Paese disinteressandosi d’altro. Ma anche se non lo facesse, l’esperienza dimostra, ch’è difficile tenere sotto controllo un ordine diventato ormai oggettivamente incontrollabile.

    I prossimi giorni forse sveleranno tanti misteri, per adesso bisogna accontentarsi del fatto che il dibattito sulla giustizia non è più recintato nelle riserve indiane ma si è librato in ogni direzione. E questo fa ben sperare sullo sgretolamento del fronte della conservazione nella difesa di ruoli e privilegi di casta.

    Intanto dobbiamo un grazie di cuore al dipietrino, delfino o trota che sia, perché ha contribuito, e non poco, a questo risultato. Quelle telefonate fatte al dott. Mautone hanno aperto, al grande pubblico, uno spiraglio illuminante sulla differenza tra predicare e razzolare, e sulla differenza tra democrazia praticata e predicata. In quella praticata il controllo spetta al popolo, nel secondo caso spetta solo a chi ha la furbizia di costruirsi strutture con proconsoli parentali, o partiti con speciali statuti.

    Ma la storia del giustiziere della notte, Antonio Di Pietro, è intessuta di altre vicende ed altri misteri. No, non parliamo né della Mercedes ricevuta, né del prestito di 100 milioni a tasso zero, né dell’appartamento avuto in affitto dalla Cariplo a Milano e ceduto al proprio figliolo, né degli immobili comprati dalla An.to.cri. (Anna, Totò, Cristiano, il trittico Di Pietro) e affittati all’IDV in varie zone d’Italia, ma parliamo del più importante dei misteri. Quello delle sue dimissioni dalla Magistratura, i cui motivi rimangono ancora ignoti, e chissà se in essi non ci sia la chiave per leggere la sudditanza di Veltroni e del PD all’egemonia dipietresca.

    Nei giorni scorsi, il picconatore per eccellenza, l’emerito Presidente della Repubblica Francesco Cossiga , solitamente ben informato (forse per i suoi trascorsi gomito a gomito con i servizi segreti di questo Paese), lo spronava a confessare il perché di quell’abbandono, ricordandogli che lui (Cossiga) ne era a conoscenza, ma che, oggi, preferiva evitare di renderlo pubblico. E’ augurabile che non ci faccia aspettare molto.

    Giovanni ALVARO

    Reggio Calabria 30.12.2008

    SGOMBRARE IL CAMPO PER MANIFESTA INCAPACITA’

    Lo avevamo già scritto, facendo i facili profeti, che alla fine Veltroni, D’Alema e & avrebbero fatto come gli struzzi. Imbrogliano se stessi, si nascondono la verità, quella nuda e cruda della Caporetto abruzzese (anteprima di una Caporetto generale), e, come se si stesse in una normale situazione, anziché porre mano ai problemi di linea politica e correzione profonda del loro modo d’essere, decidono di mantenere lo status quo con quell’asfissiante alleanza con Di Pietro, e, con l’occhio al controllo del partito, pensano solo a come affrontare il redde rationem che comunque è stato rinviato al dopo elezioni europee.

    Siamo veramente, come si vede, all’incapacità di percepire la gravità della situazione in cui si trovano. In pratica, si è alla confusione più totale ed al possibile sfascio di quel partito che fu il PCI, il PDS, i DS e, con la Margherita, l’attuale PD, ‘amalgama mal riuscito’ (versione D’Alema), o ‘amalgama che c’è già stato alle elezioni politiche e prima ancora alle primarie’ (controreplica Veltroni).

    Non c’è dubbio che, nella scelta di non toccare nulla delle proprie alleanze, ha pesato l’esplosione della questione morale che sta facendo assaporare, anche ai ‘moralmente diversi’, quanto è terribilmente salato il mare. Come in una gara tra le Procure, infatti, si susseguono, senza soluzione di continuità, le inchieste, gli arresti, le iscrizioni nei registri degli indagati e i rinvii a giudizio, che stanno sconvolgendo il cosiddetto popolo di sinistra che, per la prima volta, forse, comincia ad aprire gli occhi sul pianeta magistrati e, a denti stretti, comincia a considerare urgente la riforma del settore. Riforma che, per anni, è stata vista come il tentativo di mettere sotto controllo l’ordine giudiziario, e non come una necessità per rendere civile e moderno un Paese sotto scacco e martoriato da abusi di ogni genere per l’autoesaltazione e la forte esposizione mediatica dei nuovi protagonisti, entrati nell’agone a gamba tesissima, quali sono stati i magistrati politicizzati.

    La preoccupazione del ristretto gruppo dirigente del PD è comunque e sempre Antonio Di Pietro e la sua capacità di sfruttare ogni loro passo falso sul terreno giustizialista. Uòlter e ‘baffino’ sanno che le iniziative del PdL non puntano a fare dell’attuale ‘tangentopoli rossa’ un vessillo da usare senza parsimonia. Forse finalmente riescono a capire che Silvio Berlusconi e i suoi alleati non usano, contro i loro avversari, i metodi della canea giustizialista come sanno fare loro e i ‘campioni del rispetto, della civiltà e del confronto’ dell’IDV e del suo leader. Certamente è stato difficile per loro, cultori dell’aggressione sistematica, capire una verità lapalissiana: solo chi non ha argomenti si rifugia nel ghetto giustizialista, mentre il PdL ne ha a iosa.

    Per esempio a Napoli e in Campania, a che servirebbe girare ferocemente il coltello nella piaga, facendo scadere l’iniziativa politica e mettendo sterco nel ventilatore? A chi gioverebbe seminare discredito sulle istituzioni? La giustizia faccia il suo corso e velocemente, ma a Napoli e in Campania, usando solo il lessico del signor Gambale (il Torquemada partenopeo famoso per gli attacchi contro Gava, Scotti, De Lorenzo e Di Donato chiamati la ‘banda dei quattro’), bisogna liquidare al più presto ‘il duo Bassolino-Iervolino’ per assoluta manifesta incapacità politica.

    Le immagini di una regione sommersa dalla spazzatura, senza citare altro, sono stati il biglietto da visita di un gruppo dirigente modesto e senza capacità di volare alto. Mostrare le mani, come ha fatto la Iervolino, e dire che sono pulite serve a ben poco. Perché per guidare una città come Napoli, ex Capitale del Regno delle Due Sicilie, servono certo mani pulite, ma anche mani operose e occhi attenti e vigili. Essendo mancate queste due condizioni, sarebbe più corretto e politicamente più salutare chiudere finalmente un’esperienza fallimentare.

    Giovanni ALVARO

    Reggio Calabria 22.12.2008

    VELTRONI, BASTA CON UN CONNUBIO INDECENTE

    Si potrà girare e rigirare attorno al problema quanto si vuole, si potranno dare mille interpretazioni alla ultima sconfitta elettorale, si potrà dire da parte di Veltroni che alla fin fine il bicchiere si presenta mezzo pieno, mentre D’Alema gli dirà sicuramente ch’esso è mezzo vuoto, se non addirittura che sia totalmente vuoto, ma alla fine faranno come gli struzzi: nasconderanno la verità nuda e cruda della Caporetto rappresentata dal risultato elettorale dell’Abruzzo.

    Non sono abituati a dire come stanno veramente le cose, ad assumersi pienamente la responsabilità di ciò che va male, ad ammettere d’avere sbagliato tutto da dieci mesi a questa parte, per cui continueranno a mentire a se stessi, e saranno vittime della loro stessa presunzione. Non che una strada diversa li potrà riportare in auge, ma almeno li salverà dal precipizio, ed eviterà all’Italia la crescita di logiche populiste e sudamericane degnamente rappresentate da quel simpatico ‘superdemocratico’ qual è il signor Antonio Di Pietro.

    Affrontare la realtà significa prendere il toro per le corna, direttamente e senza alcun infingimento, stoppando la ripida scivolata su quel piano inclinato, cosparso di grasso, dove sono riusciti a collocarsi i signori della cosiddetta sinistra obamiana che vivono di nominalismi, simboli e frasi inglesi che tanto fanno chic nelle terrazze romane. Prendere il toro dal suo simbolo può appariscente significa però riconoscere il gravissimo errore commesso nell’aver allevato e messo in circolo un nemico della democrazia, un giustizialista dichiarato, un populista senza alcun respiro politico, quando contemporaneamente si decretava la fine di sinistre antagoniste, sinistre critiche, socialisti servizievoli e verdi di ogni gradazione.

    Non che l’assenza di detti rappresentanti (Diliberto, Boselli, Pecoraro Scanio, Giordano, Mussi, ecc.) ci abbia sconvolto e ci abbia costretto a mettere il lutto, ma onestamente li avremmo preferiti al trattorista di Montenero di Bisaccia che non è un avversario politico, ma un arringa popolo proteso solo ad incrementare la propria dote elettorale, portandola oltre il 4%, per non dipendere da decisioni altrui. Infatti se l’IDV ha inseguito l’alleanza con Veltroni lo ha fatto per rendersi immune dalla filosofia del voto utile, operazione che non gli serve più volendo giocare direttamente e da solo per evitare, così, si vedersi sbattere, nel prossimo futuro, la porta dell’alleanza in faccia. Sa che per lui è finita la stagione degli incarichi di Governo, ed allora punta a mantenersi in vita e con essa a mantenersi i cospicui rimborsi elettorali.

    Rozzo quanto si vuole, ma abbastanza lucido nel suo percorso e nelle sue scelte. Di Pietro sa che la propria crescita non può avvenire a danno dei moderati raggruppati sotto i vessilli del PdL guidato dal nemico Silvio Berlusconi, ma solo a scapito dei propri compagni di merende, ed allora non si fa scrupoli dando addosso al PD ma se necessario anche alla Croce rossa. Girotondi, grilli, tensioni sociali, scuola, scioperi epifanei lo vedono sempre in prima linea e sempre col megafono in mano. A Uòlter un consiglio: non continuare a sottovalutarlo. Tu sarai più fine certamente, ma ti è mancata completamente la lucidità. Hai imbarcato un talebano, lo hai coccolato, fatto crescere, ed ora ti si rivolta contro. Per te non c’è futuro se non hai il coraggio di staccarti totalmente da tale personaggio.

    A noi che importa? Di te veramente nulla, e nulla di ‘baffino’ il tuo gemello. A noi interessa l’Italia e le politiche da assumere in questo grave momento di recessione internazionale. Convergenze sulle scelte di fondo sono più necessarie dei muri contro muri. Per questo, e solo per il nostro Paese, ci permettiamo di consigliarti la rottura di un connubio indecente.

    Giovanni ALVARO
    Reggio Calabria 16.12.2008

    OH, VECCHIA SINISTRA, QUANTO CI DELUDI

    L’invito di Berlusconi a Veltroni a rompere la sua alleanza con Di Pietro per avviare un rapporto diverso e collaborativo tra maggioranza e opposizione non è certamente una reale necessità per svelenire la situazione. Tra Veltroni e Di Pietro non si scorgono infatti ‘diversità’ sostanziali essendo, i due, in continua rincorsa tra loro. E la improbabile rottura, tra l’altro, non risolverebbe il problema di un rapporto civile con la maggioranza.

    La rincorsa o la concorrenza, infatti, continuerebbero, e a maggior ragione, se la rottura si avverasse, perchè esse sono frutto di un’assenza di bussola, di una mancanza di leadership, e di una terribile paura per un ipotetico svuotamento del proprio bacino d’influenza a tutto vantaggio del vero attuale avversario politico. E se, ad un simile aggrovigliato problema, si volesse aggiungere la ‘fronda’ interna al PD, capeggiata da mille contestatori, tra i quali il tradizionale e storico ‘gemello’ (baffino), la partita è irrisolvibile.

    Perché allora perdere tempo, quando la partita l’ha già risolta il corpo elettorale, sette mesi fa, non solo per aver fatto vincere il PdL ed il suo leader, ma soprattutto per aver tributato loro l’incredibile successo che ha letteralmente mandato in tilt la cosiddetta sinistra, e frantumato definitivamente i propositi di un’opposizione civile e propositiva? Da allora, a partire cioè dall’indomani del responso elettorale, il ‘buonismo’ veltroniano se n’è andato a quel paese, le speranze di un atteggiamento politico serio ha fatto altrettanto, e, improvvisamente, si è tornati al buio dello scontro per lo scontro, e l’avversario da combattere è ridiventato nemico da abbattere.

    Ogni cosa è stata esasperata all’inverosimile. Dal lodo Alfano per salvaguardare le più alte cariche dello Stato dai Garzòn nostrani anche se solo per il periodo del loro mandato; all’abolizione dell’ICI passando, senza alcuna vergogna, dalla critica sfrenata perché andavano esclusi i ‘ricchi’, all’affermazione che tanto era un provvedimento elaborato dalla sinistra; ai provvedimenti sulla scuola mistificando, mentendo e, addirittura, capovolgendo anche vecchie impostazioni del loro schieramento; alla feroce critica della miseria dei 40 euro mensili ai più indigenti, visti come un’elemosina, o ai bonus per le famiglie a basso reddito considerati una vergogna inammissibile; fino all’incredibile attacco per l’aumento dell’IVA alle pay-tv, come Sky, pari a 4 euro mensili che vengono considerati un terribile aggravio per i contribuenti.

    Quest’ultima vicenda ha permesso la riesumazione del trito e ritrito vecchio conflitto d’interessi, dimenticando due cose fondamentali: l’aumento dell’IVA sulle pay-tv colpisce anche Mediaset, per la parte satellitare, mentre non può colpire quella terrestre che viene fornita gratis ai telespettatori. Ma a loro che interessa. Bisogna riattaccare l’odiato nemico. Ed allora serve seminare dubbi, spargere veleni, mettere gli escrementi nel ventilatore. Qualcosa, pensano, alla fine potrà aiutare una loro improbabile ripresa. E comunque, come minimo queste azioni servono a bloccare la crescita di quel caino di un Di Pietro che, accolto alla tavola imbandita della sinistra, vi si è rivoltato contro, quando ha capito che doveva recuperare il proprio pane autonomamente.

    I fessi lo avevano aiutato a restare in vita, evitando, per lui, il mortale voto utile che è stato propinato a socialisti, comunisti senza mimetizzazione, verdi di ogni gradazione, e arcobaleni vari, ed adesso se lo trovano super concorrente. Oh, vecchia sinistra, ma dove stai andando? Non ti rendi conto che ti trovi su un piano inclinato cosparso di olio e grasso? Le lezioni della storia non ti hanno insegnato nulla? Ci deludi profondamente. Nelle loro bare si rivoltano le ossa dei tuoi padri fondatori vedendo quali mani ti stanno gestendo.

    Un consiglio spassionato agli attuali dirigenti: tenete l’anima in pace perchè non esistono scorciatoie. La partita potrà riaprirsi tra due generazioni. Un consiglio anche al nostro leader: non ti curar di lor, ma guarda e passa.

    Giovanni ALVARO
    Reggio Calabria 1.12.2008

    SENZA BUSSOLA, CI SI AGGRAPPA ANCHE AL NULLA

    Il commento più azzeccato, anche perché chiaramente non piegato a compiacenze amicali, sicuramente perché il giornalista non frequenta le terrazze romane del politicamente corretto, o perché è di un livello veramente superiore, ci sembra quello scritto e pubblicato su Le Monde, importante testata francese, che testualmente recita: “Povero Berlusconi, appena apre la bocca gli piombano addosso”. Il giornalista continua, chiedendosi: “Francamente, dov’è lo scandalo? Si trattava soltanto di una carineria”.
    Lo avevamo già detto in passato e lo ribadiamo tutt’oggi, dopo la ‘bufera’ (si fa per dire) costruita strumentalmente, dalla pseudo sinistra, per le parole di Silvio Berlusconi su Barack Obama: qualunque cosa dica o faccia il nostro Presidente del Consiglio sappia che lo attende un’aggressione mediatica più o meno consistente. Evitino, quindi, gli alleati di consigliarlo a tenere la bocca chiusa, perché anche in quel caso scatterebbe la canea del ‘dagli all’untore’ con le allarmate dichiarazioni dei vari Veltroni, Franceschini e & che si chiederebbero il perché tace, e cosa ha da nascondere.

    Essere senza bussola, a corto di iniziative, deboli sul piano politico, sbandati su quello organizzativo, e soggetti alla ‘concorrenza’ del Di Pietro e degli oppositori interni, porta diversi dirigenti del PD a cavalcare tutto, anche il nulla, pur di segnare la propria presenza e, tentare in questo modo, di mantenere in piedi quel che resta di un esercito sempre più in drammatica rotta. Non c’è da preoccuparsi per azioni di disturbo di questo tipo, né c’è da preoccuparsi per il goffo tentativo di metter cappello sulla vittoria di Obama o addirittura nel far credere, al proprio popolo o a quello ch’è rimasto, che il vero vincitore sia il Don Chisciotte di casa nostra.

    Gli italiani che vivono su questo pianeta, e non sono extraterrestri con l’anello al naso, hanno potuto assaporare quanto sia matura la democrazia americana e quanta alta e immensa sia la civiltà di comportamento del repubblicano McCain che, subito dopo aver ingoiato il boccone amaro della sconfitta, ha incitato i propri sostenitori a stringersi attorno al ‘nostro Presidente’. Solo i ciechi o chi non vuol vedere non riuscirà mai a scorgere, in questo semplice atto, non solo la grande dignità e serietà di un avversario (non nemico), ma sopratutto il grande amor di patria che impone, superata la prova elettorale, una grande unità d’intenti. Non abbiamo dubbi che, a risultati elettorali capovolti, avremmo avuto da Obama la stessa civiltà di comportamento nei confronti del proprio avversario, e lo stesso amor di patria.

    E Veltroni, che conosce bene (sic!) l’America, quando riuscirà ad imparare il ‘veramente’ politicamente corretto? L’albero si può raddrizzare quando è piccolo. Sarà impossibile farlo quando è grande, per cui bisogna lasciarlo al suo destino. Basteranno pochi mesi, infatti, per vedere come, dopo essersi incartati da soli e dopo essersi infilati in un vicolo cieco, sarà veramente difficile riuscire a liberarsi senza danni. Basta attendere, per esempio, le mosse sulla politica estera di Obama che non saranno né repubblicane, né democratiche, ma semplicemente quelle per la difesa dell’Occidente libero e democratico.

    E a fianco di Obama ci sarà l’Italia democratica e riformista guidata da Silvio Berlusconi, mentre Veltroni e la sua sinistra faranno l’ennesima capriola inseguendo l’ennesimo corteo arcobaleno. Lo sa tanto bene anche Obama che ha voluto mettere in evidenza, telefonando, il diverso rapporto che gli USA hanno col ‘vecchio’ Silvio e col ‘giovane’ Zapatero. A ognuno il suo.

    Giovanni ALVARO

    Reggio Calabria, lì 10.11.2008

    GLI STUDENTI E IL SOGNO DEL SESSANTOTTO

    I soggetti che hanno dato vita alle iniziative contro la Gelmini avevano tutti una motivazione, anche se non direttamente legata al merito della riforma, tranne gli studenti la cui protesta si è dimostrata fine a se stessa e, parafrasando il signor Tonino, vien da chiedersi cosa ci ‘azzeccavano’ col resto dei protagonisti?

    Fra i più interessati alle iniziative di piazza c’era la sinistra (sic.!) che, alla spasmodica ricerca di un pretesto per invertire la direzione in cui continua a soffiare il vento, si è distinta a pestare l’acqua nel mortaio addolcendola con le falsità più macroscopiche. In assenza di una bussola ci si aggrappa, ormai, a qualsiasi possibilità di protagonismo che la vicenda politica italiana offre, anche per non lasciare che il solo regista degli shows fosse Antonio Di Pietro il quale, figuriamoci se poteva mancare, è stato un vero animatore proteso ormai all’inseguimento ed al consolidamento del suo 4% il cui mantenimento lo può rendere autonomo dalla pretesa egemonica post-comunista. La presenza di Di Pietro, in ogni occasione, è diventata così ossessiva che non solo gli permette di occupare stabilmente le scene, ma anche di trascinarsi dietro il Don Chisciotte, Walter Veltroni, che avrebbe dovuto tenerlo al guinzaglio ma che deve accontentarsi di un ormai consolidato rapporto capovolto.

    C’erano anche i Sindacati che, al rimorchio della CGIL e dei suoi tatticismi di sostegno alle scelte del PD, hanno teso a cavalcare il reale malessere esistente nel corpo docente, per gli inadeguati livelli retributivi e per il totale annullamento meritocratico subìto in tutti questi anni, tentando di non farsi scavalcare dal loro Di Pietro, cioè dal Sindacalismo autonomo, tradizionale nemico delle Confederazioni. Ed infine c’erano i docenti sia quelli ideologizzati e speranzosi di poter invertire la tendenza dell’opinione pubblica ormai lontana dalle sirene della sinistra, che quelli impegnati a difendere rendite di posizione soprattutto nelle Università . La presenza di questi ultimi era, come dire, preventiva. Hanno tentato di bloccare un processo che, si capiva, andrà avanti lo stesso, per arrivare fino ai paradisi dei ‘baroni universitari’. E la Gelmini li ha accontentati subito annunciando che la prossima settimana presenterà il piano che li interesserà.

    Ma gli studenti che ci facevano in questo movimento? Che ci azzeccavano con i baroni universitari? Sognavano forse un 68 come quello vissuto dai propri nonni? Sogni legittimi certo, ma lontani dalla realtà. I giovani per loro stessa natura sono ‘rivoluzionari’, sono innovativi, fantasiosi, vogliono cambiare il mondo e non conservarlo, e vogliono tentare di plasmarlo a loro misura. Questo è stato il vero 68, un movimento per ‘abbattere’ il sistema, a differenza dei sogni odierni costruiti sulla conservazione, sullo status quo, sul mantenimento dell’esistente. E’ mancata, nella odierna protesta, la loro creatività per cui è stato facile relegarli a semplici oggetti di un movimento nato asfittico perchè teso alla difesa di privilegi altrui. Impossibile per loro diventare soggetti principali di un nuovo corso.

    Ad essi è stato offerto, e acriticamente purtroppo l’hanno accettato, un piatto precotto. Peccato veramente perché hanno bruciato un’opportunità positiva che non nasce mai dal ribellismo fine a se stesso, ma è sempre frutto di ragionamento, critica, e capacità propositiva. Anche gli slogans denunciavano l’assenza della fresca fantasia giovanile perché costruiti su elementari rime baciate (Gelmini-bambini) o scopiazzature dal maggio francese come il famoso e non ripetibile “non è che l’inizio” anche perché è stato tutto inizio e fine. L’innovazione non alberga nelle segrete stanze degli stregoni di sinistra, ma è saldamente presente negli obiettivi del Governo Berlusconi che si dimostra il più innovativo e “rivoluzionario” che si potesse sperare.

    Giovanni ALVARO

    Reggio Calabria 31.10.2008

    LE BUFALE DI VELTRONI SUL PALCOSCENICO ITALIA

    C’è chi ha gioito per le dichiarazioni del Walter-Don Chisciotte sulla fine dell’alleanza con Antonio Di Pietro, vuoi perché sembrava avviarsi la chiusura di una stagione vergognosa fatta di corse e rincorse, e di sceneggiate a chi la sparava più grossa, con rilanci sempre più azzardati, vuoi anche perché c’era chi sperava in una possibile riapertura dei giochi, che sembravano definitivamente chiusi, dopo le elezioni politiche, e che la rottura con l’IDV sembrava poterli riaprire.

    E’ bastato poco per capire che si trattava di una nuova bufala. Di Pietro, infatti, per nulla intimorito dal proclama di rottura rintuzzava con sarcasmo le dichiarazioni veltroniane e proclamava che senza il suo apporto il PD non avrebbe vinto neanche una bambolina. A nulla è servito dire che neanche l’IDV poteva sperare di vincere, anche perché a Di Pietro non interessa vincere ma interessa consolidare il suo 4% che è la sua vera ed unica àncora di salvezza. Dopo, comunque, le schermaglie iniziali ha provveduto lo stesso Veltroni a smorzare gli entusiasmi e a bloccare i brindisi già avviati dai vari Nencini, Giordano, Diliberto, Ferrero e Pecoraro Scanio che continueranno ad essere personaggi in cerca d’autore.

    Da una parte Veltroni ha ricordato ch’egli non ha detto nulla di nuovo sul suo rapporto con Di Pietro, dall’altra, onde evitare ulteriori equivoci, ha ribadito la scelta del PD di sostenere a Presidente della Commissione Vigilanza Rai quell’Orlando Cascio dell’IDV a cui però, per i suoi trascorsi, il PdL non può né intende affidagli un ruolo di super partes. Poteva bastare questo per respingere l’accusa di ‘vigliacci’ che gli è stata rivolta da Di Pietro ma ha voluto rincarare la dose, con la sua collaudata faccia di bronzo, tentando un ritorno positivo dalla vicenda. Ha quindi invitato Berlusconi e la maggioranza a fare come hanno fatto loro: “noi vi abbiamo votato il candidato alla Corte Costituzionale, ora voi dovete votarci il nostro candidato alla Vigilanza ch’è Cascio Orlando Leoluca da Palermo”.
    Ma che, fa lo gnorri? Pensa che gli altri siano degli imbecilli? Dimentica cosa è avvenuto? Bisogna ricordargli allora che il candidato alla Consulta era il prof. Gaetano Pecorella e che solo il senso di responsabilità dello stesso e dell’intero PdL ha determinato il ritiro della proposta e, conseguentemente, l’elezione dell’avv.to Giuseppe Frigo. Dimostri Orlando e lo stesso PD eguale senso di responsabilità avanzando una seconda proposta e stiano certi che la vicenda si sbloccherà immediatamente. Ma Veltroni non ha il coraggio di farlo malgrado la presunta rottura dell’alleanza (sic.!). Di Pietro lo fulminerebbe letteralmente e, chissà perché, egli ne è terrorizzato.

    Ce n’è abbastanza per permettere al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, la individuazione delle responsabilità del mancato scioglimento del cosiddetto ‘nodo dell’asino’ , quel nodo che più lo tiri più si serra. Abbastanza a ché lo stesso Marco Pannella, che ha forzato la mano, con i suoi scioperi, riconosca di chi è la colpa dell’inconcepibile muro di tracotanza eretto dal duo Valter-Tonino. Abbastanza anche per l’Italia ch’era così frastornata e non capiva bene il perché del braccio di ferro, ma a cui, ora, tutto è chiaro.

    Parliamo di quella ‘Italia migliore della destra che la governa’ ma anche, e non ci voleva molto, aggiungiamo noi, “migliore della sinistra a cui ha rifiutato il sostegno inviandola all’opposizione”. E’ proprio questa sua condizione che la eleva a garante della sua stessa democrazia, e ne fa un corpo impenetrabile alle sceneggiate, alle falsità ed alle bufale messe in campo da vecchi e nuovi arnesi della politica italiana. Ne tengano conto Veltroni e Di Pietro.
    Giovanni ALVARO

    Reggio Calabria 26.10.2008

    LA PROTERVIA E L’ARROGANZA NON DEVONO PASSARE

    No e poi no, l’arroganza e la presunzione con le quali si tenta di imporre al Parlamento di fare una scelta, a Presidente della Vigilanza Rai, molto discutibile per l’assenza totale, nel candidato proposto, di un pur minimo elemento di equilibrio da super partes, non possono e non devono passare. A tal fine non potranno servire nè i digiuni pannelliani, né lo stesso invito di Giorgio Napolitano al Parlamento a voler adempiere pienamente ai propri compiti istituzionali.

    Il digiuno di Marco Pannella e l’invito del Presidente della Repubblica, ambedue indirizzati a tutti i ‘contendenti’, devono, semmai, servire a ricercare condivise vie di sblocco di una situazione delicata che sembra utilizzata per sancire pesi e contrappesi all’interno del variegato mondo dell’opposizione. La Presidenza della Vigilanza è in sostanza la scusa per misurarsi tra Di Pietro e PD, e poter affermare, da parte dell’IDV, il proprio indiscusso autonomo ruolo di giacobinismo allo stato puro, e la propria capacità di imporre i propri disegni anche ad una grande aggregazione com’è il partito nato dalla somma di DS e della Margherita..

    Non c’è altra spiegazione, infatti, nel volersi intestardire in una proposta, antesignana del giustizialismo dell’era moderna, che storicamente rappresenta la parte più oscena delle forze succube del ruolo ‘etico’ della Magistratura, e la parte più plateale dell’antimafia da convegno o da tavola rotonda. Indecenti i suoi attacchi a Giovanni Falcone che hanno contribuito a isolarlo rendendolo più esposto alla strategia stragista della mafia siciliana, e vergognosi e infamanti, in una trasmissione televisiva, gli attacchi diretti contro il Maresciallo Lombardo che non ha retto alle insinuazioni e si è sparato un colpo di pistola alla testa alla vigilia del suo viaggio negli States per prelevare il boss Badalamenti che era pronto a venire a deporre al processo contro Giulio Andreotti per smentire le panzane sostenute dal cosiddetto ‘pentito’ Buscetta.

    No e poi no, il nostro Leoluca Orlando Cascio può stare con Di Pietro, può essere stupidamente accolto, per ragioni di alleanza, dagli ex comunisti, può continuare a fare carriera con l’antimafia da barzelletta e utilizzare tutte le occasioni che gli si presentano, ma non può essere un soggetto super partes in un ruolo da assumere con i voti determinanti del PdL.

    Ed allora, come si esce dall’impasse? Come rispondere positivamente ad un Presidente, che superata la fase di rodaggio iniziale, si sta dimostrando veramente super partes? Come evitare che l’attuale ‘digiuno’ pannelliano (ma sarebbe ora che Marco la smettesse di ‘ricattare’ il sistema politico italiano con questi mezzi) possa scivolare verso pericolosi sbocchi? La strada è quella di una rosa di nomi tra i quali scegliere. E’ la proposta avanzata da Casini che, a scanso di equivoci, ha dichiarato anche che non intende avere nella rosa alcun nome di personaggi aderenti al suo partito.

    La convocazione della riunione congiunta dei capigruppo alla Camera ed al Senato decisa da Schifani e Fini va in questa direzione, e credo che il Nuovo PSI di Stefano Caldoro debba sostenere questa strada che, tra l’altro, sarebbe la più corretta per evitare la ‘putinizzazione’ del Parlamento (vero Veltroni?) che con una sola proposta sarebbe chiamato solo a ratificare quanto la protervia e l’arroganza scodellano. La storia ci ricorda che questo, nel nostro Parlamento, non avviene neanche per l’elezione del Presidente della Repubblica. Non può adesso avvenire perché lo richiede il Di Pietro di turno.
    Giovanni ALVARO

    Reggio Calabria 05.10.2008