SE SULLE LISTE SI ABDICA LA PARTITA E’ NETTAMENTE PERSA

No, non mi convince per nulla che il terreno di gioco debba essere scelto dagli altri, come purtroppo sta avvenendo con la nuova ‘moda’ del ‘bianco che più bianco non si può’, che, tra l’altro, è un film già visto che gli immemori debbono sforzarsi di ricordare prima di cavalcare le nuove mode che, tra le righe, nascondono propositi forcaioli.

Ai tempi di ‘mani pulite’ avvenne che per non essere accusati di ostacolare il cammino della giustizia-pulizia la classe politica (soprattutto quella che era nel mirino dei ‘falsi rivoluzionari’) depose le armi, senza alcun onore, e pavidamente si fece dettare le scelte che il Parlamento rese legali come l’abolizione dell’immunità parlamentare. E anche prima dell’avvio del tentativo di presa del Palazzo d’inverno, la stessa classe politica, che doveva essere collocata sulla pira ad ardere, scrisse sotto dettatura ‘l’amnistia’ del finanziamento illecito ai partiti fino al 1989, e l’introduzione di forti e illimitati poteri ai PM.

Sono i tre passaggi fondamentali della strategia ‘golpista’ dei comunisti di allora. Con l’amnistia si metteva il PCI al riparo da possibili incidenti di percorso (finanziamento estero, condivisione del ‘finanziamento interno’, e sistema delle coop); con la modifica del ruolo e dei poteri dei PM si promuoveva la generazione dei sessantottini approdati in Magistratura per poterli usare adeguatamente per la ‘via italiana al potere’; con la rinuncia all’immunità ci si presentava nudi dinanzi ai plotoni di esecuzione per essere definitivamente spazzati via.

Ed è ciò che avvenne. Anche oggi con la vicenda ‘liste pulite’ si rischia di fare ciò che altri vogliono. Da una parte spostare i centri decisionali, nella formazione delle liste, dai partiti ai PM; dall’altra indebolire il caposaldo dei garantisti rappresentato dalla presunzione di innocenza dell’accusato, prevista , tra l’altro, dalla stessa Costituzione italiana; dall’altro ancora ridurre il consenso liquidando i candidati più forti. E’ abbastanza chiaro che sulle questioni di principio cedere una volta significa aprire una breccia dalla quale passeranno richieste sempre più oltraggiose e forcaiole.

Giustificare il cedimento con l’esigenza di non perdere qualche frazione di punto di consenso, e con l’esigenza di bloccare la possibile crescente polemica sulla questione, è solo un gravissimo errore. E’ una pia illusione pensare che togliere chi è stato condannato, in via definitiva, dalle liste (cosa normale e giusta e che già era prassi costante) sarà sufficiente, perché si chiederà di togliere anche quelli condannati in prima istanza, e poi di liberarsi anche di quelli semplicemente rinviati a giudizio, e indi di quelli più semplicemente indagati e con avviso di garanzia, e poi quelli che hanno un parente che ha salutato un inquisito di mafia, e infine, quelli iscritti ai partiti moderati che, soltanto per questo, saranno di sicuro possibili malfattori.

E’ chiaro, quindi, che l’obiettivo è ‘scarnificare’ i partiti considerati ‘nemici’. Ma immolarsi per far felici Di Pietro, Franceschini, Donadi, Bindi, Bersani e quant’altri è gesto semplicemente gratuito. Togliere dalle liste i condannati va bene, ma togliere anche gli indagati significherebbe delegare ai De Magistris di turno la composizione delle liste, ben sapendo che i PM alla De Magistris inquisiscono il mondo intero ma, alla fine, delle loro inchieste resterà soltanto il fumo, il pettegolezzo da bar sport e il crucifige mediatico del malcapitato, con la vita sconvolta e la carriera politica stroncata, dato che tutte, sottolineo tutte, le loro inchieste hanno fatto e faranno solamente flop.

E’ sopra le righe, quindi, invitare la classe dirigente moderata a maggiore cautela sull’argomento, senza farsi tirare dalla giacchetta dalle Angele Napoli disseminate per il nostro Paese? Berlusconi, da par suo, lo ha capito perfettamente, dovrebbero, però, capirlo tutti gli altri.

Giovanni ALVARO
Reggio Calabria 25.2.2010

LA JIHAD DI LOIERO SULLA SANITA’ CALABRESE

Agazio Loiero, come se fosse il Presidente della Repubblica… calabrese, a reti unificate, ha tenuto per ben 36 minuti il video, all’ora di pranzo, per chiamare alle ‘armi’ il popolo calabro contro l’Italia , il cui Governo, presieduto dal feroce Saladino Silvio Berlusconi coadiuvato dal terribile Maurizio Sacconi, vuole commissariare la sanità della regione che presenta, euro in più o euro in meno, un disavanzo spaventoso di 2,166 miliardi di euro.

Ha pronunciato parole di fuoco per concludere che “Ci difenderemo. Lo faremo anche questa volta”, senza però dire come e quando intende por mano ai gravi problemi della sanità calabrese che, per dirla con la Mercegaglia , “presenta l’assurdo di un costo letto in ospedale superiore a quello del Nord, ma con servizi e assistenza abbastanza inferiori”. Anche Sacconi, che ha aperto il contenzioso con la Giunta Loiero invitandola a predisporre un vero e credibile piano di rientro dal buco finanziario accumulato, in riferimento ad ospedali con 20 posti letto disseminati in tutta la regione, ha solo detto che “ride solo per non piangere”.

Nella chiamata alle armi Loiero ha indirettamente dato credito alle critiche affermando che i cittadini calabresi scelgono per interventi anche banali, ospedali fuori regione. Lo ha fatto col vergognoso tentativo di scaricare sui camici bianchi le responsabilità di una sanità allo sbando frutto di una visione del settore piegata alla ricerca della clientela. Inaccettabile questo atteggiamento che offende capacità e professionalità di livello.

Ma il top del proclama si è raggiunto con la giustificazione per la reintroduzione dei tichets sanitari. Nessun accenno al populismo che sovrintendeva la scelta imposta da alleati riottosi, ma l’indicazione che il primato della spesa farmaceutica era da addebitare, scatenando un’ilarità infinita, ai turisti che in estate invadono la Calabria. Essi, i turisti, approfittando dell’assenza dei tichets facevano, negli anni passati, la scorta dei medicinali per l’inverno.

Assieme a queste sciocchezze il Loiero-pensiero si è distinto per la chiamata di correità con la passata Giunta Chiaravalloti che aveva lasciato un buco da 800 milioni, mentre oggi quel buco è diventato il traforo del Monte Bianco. Loiero e la sua Giunta cosa hanno fatto in quattro anni di governo? Non si può continuare a dire che si è trovata una situazione catastrofica e, quindi, la colpa è degli altri. Il primo anno questo discorso è legittimo, ma per gli anni successivi diventa una foglia di fico usata solo nascondere le vergogne di una gestione a dir poco allegra.

La verità è una sola: la politica politicante ha messo sotto ‘controllo’ un settore che va invece restituito al suo ruolo che è quello di salvaguardare la salute dei cittadini. Le scelte dei primari non possono rispondere a logiche di appartenenza, ma solo a competenza professionale e capacità dirigenziale e organizzative. I primariati non possono essere decisi per ‘sistemare’ qualcuno, ma vanno istituiti se servono alla collettività, così come gli ospedali sotto casa, se non servono a niente, ma solo a mantenere ruoli e prebende, vanno immediatamente chiusi.

Loiero e &, che hanno ‘usato’ la sanità per costruire un sistema di potere, non sono in grado d’uscire dal vicolo cieco in cui si sono messi. Il commissariamento è, quindi, più che necessario. Lo chiedono a gran voce, attraverso le proprie organizzazioni sindacali, gli stessi camici bianchi che hanno, con quest’atto, dichiarata la propria renitenza alla leva voluta dal guerriero Loiero. Ad arruolarsi, nella Jihad loierana, sono rimasti solo i consiglieri del PD e gli ‘utilizzatori’ del sistema. Si parla comunque di addetti ai lavori, non di cittadini che aspirano ad un’organizzazione sanitaria capace di curare e di non far morire.
Giovanni ALVARO

Reggio Calabria 5.6.2009

MILLS, LE BOMBE AD OROLOGERIA FANNO SOLO RUMORE

Da quindici anni ormai funziona così. Le bombe usate per la lotta politica esplodono sempre in tempi preordinati, o dopo un flop magari trasformatosi in un vero e proprio boomerang, o alla vigilia di delicati appuntamenti elettorali, o addirittura in ambedue i casi. Nella fattispecie il flop dopo Noemi, e le prossime elezioni europee.

Sempre più incuranti del ridicolo e ben sapendo ch’esso non avrà concretamente alcun effetto pratico, lo schema viene riproposto e viene utilizzato. E, a conti fatti, non potrebbe essere altrimenti. L’assenza infatti di capacità aggregative, la mancanza di respiro politico, la caduta dell’appeal anche nel proprio elettorato, la ‘concorrenza irriconoscente’ del ‘trattorista’ molisano, la lotta interna per ‘gestire’ quel che resta del fu grande partito della sinistra parlamentare spinge, giocoforza, a riproporre schemi già sperimentati nella illusoria speranza che, prima o poi, possano produrre gli effetti desiderati.

Se non altro si riempiono così le loro misere cronache politiche, affidandole al gossip e ai triti e ritriti bollettini giudiziari, e si ha così l’illusione che possa essere ‘la volta buona’ per distruggere il nemico temporale quello che oggi la sinistra considera l’ostacolo alla ‘presa del potere’, e che viene individuato in Silvio Berlusconi. Ma anche su questo versante, pur sapendo che la storia si ripete solo in forma di farsa, i nemici della sinistra sono stati, di volta in volta, individuati in De Gasperi, Moro, Fanfani, Andreotti e Bettino Craxi, che poi vengono sistematicamente ‘riabilitati’ dopo la loro morte. Detto questo, però, la sentenza di Milano non può restare terreno di scorribande giustizialiste che puntano ad un uso distorto della stessa, ma deve necessariamente essere studiata per farne emergere le incongruenze che hanno spinto molti commentatori a parlare di sentenza scandalosa.

Il primo problema che emerge, in tutta la costruzione delle motivazioni, è rappresentato da fatto che non è stata provata la ‘dazione’ (brutto linguaggio dipietresco) dei 600 mila dollari all’avvocato Mills, e che, quindi, è assurda la condanna senza il ‘corpo del reato’, cioè senza la prova del misfatto che viene ricondotto al ‘convincimento’ dei giudici. Ma col convincimento si possono avviare indagini e forse decidere rinvii a giudizio, ma non si possono emettere sentenze di colpevolezza che necessitano sempre di prove certe e inoppugnabili.

Come secondo problema bisogna fare un passo indietro ricordando che l’accusa a Mills è di ‘aver detto il falso’ (per proteggere Berlusconi) in due procedimenti giudiziari (Guardia di Finanza 20.11.1997 e All Iberian 12.12.98 ), e aggiundendo che, per evitare la prescrizione il Pm De Pasquale riuscì a spostare la data del ‘reato’ al 28.2.2000, allungando il periodo di prescrizione di 1 anno e due mesi che, attualmente ha tenuto in piedi il procedimento, ma che sarà letteralmente insufficiente nel prosieguo del procedimento.

Ma allora, perché la sentenza contro Mills se è costruita su presupposti facilmente ribaltabili dai successivi gradi di giudizio? Perché questa voglia di arrivare ad una sentenza temporale destinata a sciogliersi come neve al sole? La verità, riallaciandosi a quanto detto all’inizio, è che si punta di più sull’effetto politico dell’annuncio di una condanna che sulla reale condanna degli eventuali rei. E sull’uso politico di una sentenza, anche se evanescente, l’armata Brancaleone ha una grande e collaudata esperienza.

Ma, per l’ennesima volta, va ricordato che non si costruisce un pensiero politico sui gossip e sulle sentenze di primo grado emesse tra l’altro da un giudice, la Gandus, ricusata da uno dei ‘rei’ per le simpatie a sinistra e le dichiarazioni contro il premier. Questo percorso avvantaggia, semmai, solo gli interpreti del sentimento da tricoteuses. Franceschini e & continuano a far scorrere l’acqua nel mulino di Di Pietro, mentre le bombe ad orologeria fanno solo rumore.

Giovanni ALVARO
Reggio Calabria, 20.5.2009

PATETICI E VOLGARI UTILIZZATORI DELLA ‘COMPAGNA VERONICA’

Se quanto sta avvenendo nei confronti di quello che fu, per trent’anni, suo marito, col gossip elevato ad arma di lotta politica, fa ‘star bene’ la signora Lario, vuol dire che è completamente andata o è, anche se inconsapevolmente, in intelligenza col nemico. Le due ipotesi, comunque, non sono in alternativa tra loro, ma possono tranquillamente coesistere. Puntare al declino di Silvio Berlusconi , padre dei suoi figli, per soddisfare il proprio orgoglio e sentirsi protagonista, con un quart’ora di
celebrità, oltre che inconcepibile dimostra la ristrettezza di vedute e di analisi di una donna che non vede aldilà del proprio io; ma farlo utilizzando, come sempre del resto, strumenti della feroce campagna contro il premier, com’è la Repubblica, dà la sgradevole sensazione di un percorso studiato a tavolino e chiaramente premeditato in ogni particolare. Non sarà così?, ma così appare.

E il PD, complotto o non complotto, si è voracemente buttato sul ghiotto boccone, inaspettatamente, messogli a disposizione. Ancora una volta emerge la pochezza del suo essere, ridotto ad inseguire, con furia, capitoli di vita privata che in un primo momento erano stati, con molto fair play, scartati con la franceschiniana frase del “fra moglie e marito…”, tanto da indurre il premier a dichiarare che, per la prima volta, era d’accordo col Dario ferroviere. Nella base invece è esploso l’amore per la signora Veronica (tradita, vilipesa e trascurata). Si illude però la signora se pensa ad un amore senza interessi. Dopo mesi di sconfitte, di declino inarrestabile, di concorrenza dipietresca tesa allo svuotamento del PD, ci si aggrappa, come i naufraghi, a quel che, illudendosi, si pensa possa essere, finalmente, la svolta, e si ‘ama’ chi, si pensa, possa determinarla.

Ciò ha indotto Marcelle Padovanì ad affermare che Veronica “era l’unica in grado di bloccare il fantastico consenso di Berlusconi colpendolo alle ginocchia”, tanto da meritarsi l’appellativo di “compagna Veronica” così come vorrebbe il “popolo della sinistra”. Ma c’è anche chi, come Mario Adinolfi (Direzione nazionale del PD), senza giri di parole, dice chiaramente di bandire l’ipocrisia e valutare il divorzio di Berlusconi per quel che è: “un’occasione per il Partito Democratico”. Su questo terreno i più scatenati sono gli ex democristiani che incuranti del ridicolo stanno trasformando, quel che molte donne ingenuamente hanno pensato di considerare un simbolo del riscatto femminile, in una occasione di rivincita politica.

A loro (Rosy Bindi, Castagnetti e Franceschini e &) non importa nulla della signora Lario, interessa solo strumentalizzarne la vicenda, ‘utilizzarla’ senza alcuna remora, farne un cavallo di battaglia capace di riempire i trenta giorni di campagna elettorale che ci stanno davanti. Poveretti, non hanno una politica, sono senza bussola, cambiano mediamente un Segretario ogni due anni, quando vincono in uno sperduto paesino dell’entroterra esultano come bimbi che hanno trovato una caramella, hanno realizzato “un amalgama mal riuscito” (D’Alema) e accolto nel letto un classico riccio (Di Pietro) che li sta letteralmente spolpando. Non c’è più partita, ma continuano ad illudere e a illudersi che il vento possa cambiare.

Hanno trovato sostegno nelle Concite di turno, mandate, magari, avanti per non segnare un’assoluta presa di distanza che poteva essere interpretata come sfiducia al Segretario, ma non l’hanno trovato nell’on. Umberto Ranieri che invitando ad astenersi da ‘sgradevoli dichiarazioni’ su ‘fatti privati’ raccomanda di ‘non coltivare l’illusione che Berlusconi lo si possa sconfiggere utilizzando storie del genere’. Storie che si trasformano sempre in veri e propri boomerang.

Giovanni ALVARO
Reggio Calabria 6.5.2009

IL DITO TRA MOGLIE E MARITO, SE SI RISCHIA IL BASTONE TRA LE RUOTE

Un vecchio detto recita che non bisogna mai mettere il dito nelle vicende che si aprono tra due coniugi. Ed è un adagio, tutto sommato, positivo. Il tirarsi fuori dallo scontro (il non mettere dito) evita lo schierarsi che, il più delle volte, aggrava la tensione tra i due ‘contendenti’ e non aiuta la riconciliazione. Esso va rispettato fin quando lo ‘scontro’ ha conseguenze solo personali. Ma non può essere così se dallo scontro ci sono ricadute che coinvolgono altri interessi.

Oggi, senza alcun dubbio, ci si trova in questa seconda ipotesi. Basta vedere con quanta ‘voracità’ ci si è buttati sul boccone, veramente inaspettato, che la sinistra di questo Paese si è trovato di fronte. L’interessarsi del problema, quindi, nasce dal fatto che il Presidente del Consiglio che, viaggia con un consenso incredibile, rischia di vedere interrotta la propria lunga luna di miele con il popolo italiano con tutto quel che ne consegue in riferimento alle scelte riformiste, al rinnovamento dell’Italia, al rafforzamento dell’appeal internazionale del Premier.

Stando così le cose, nessuna giustificazione è accettabile, dall’attacco di gelosia, alla difesa dei figli, alla sindrome di moglie trascurata. Bisogna, invece, ricordarsi la sopportazione e la lungimiranza, di altre mogli che hanno totalmente ignorato quanto è avvenuto sotto un tavolo della Sala Ovale della Casa Bianca, o le scelte di altre che, troncando ogni rapporto, hanno lasciato l’Eliseo. Ma neanche può pensarsi ad uno scivolone imprevisto e non preventivato perché non è la prima volta che il Presidente vien messo alle corde dalla propria consorte, a cui vengono assicurate le prime pagine dei giornali, non certamente perché si chiama Veronica Lario, ma perché essendo la moglie di Silvio Berlusconi può venire usata, con sapiente stimolo del suo amor proprio, come grimaldello per rompere il fortilizio del forte consenso accumulato.

Le uscite della signora Veronica, tra l’altro, sono inversamente proporzionali ai picchi sempre più alti di questo consenso. Sono lontani i tempi del pacifico ed amorevole “credo di essere stata una moglie perfetta per Silvio, per l’uomo che è. Ha potuto concentrarsi su se stesso e il suo lavoro, avendo una moglie che non gli ha fatto pesare –racconta nel libro Tendenza Veronica- la sua assenza all’interno della famiglia, non ha creato rivalità e non gli ha mai fatto la guerra”. Ma poi si sono fatte sempre più stringenti le scudisciate. Dalla prima, giustificata dal “morso della gelosia”; all’articolo pubblicato su Micromega (nemico giurato di Berlusconi) pro pacifisti; fino alle dichiarazioni pro referendum sulla fecondazione assistita.

Ma il clou delle dichiarazioni-scudisciate avviene con l’articolo su Repubblica (altro storico giornale nemico) col quale la signora Veronica chiede, al marito, pubbliche scuse per una delle tante innocenti estemporanee battute fatte dal Premier nei confronti di una bellezza femminile. Berlusconi lo fa e il caso rientra. Ma più tardi fa anche di più: suona una serenata alla moglie quando Veltroni, dopo una serie di complimenti (personalità di primo piano e grande autonomia intellettuale) la invita ad iscriversi al PD. La moglie è lusingata della serenata e anche Berlusconi apprezza molto il netto rifiuto di Veronica alla sirena Veltroni.

Oggi la storia continua. Non sappiamo se forse ci ha preso gusto, e le piace occupare la scena, ma a che le serve mettere continuamente in difficoltà il marito? Perché invece di dire ciò che pensa, non pensa prima a ciò che deve dire? Non guasterebbe riflettere, e riflettere a lungo sulle conseguenze di quanto si dice. Questi scossoni non servono a Berlusconi ed al PdL, e non servono al Governo del Paese. E solo ‘ciarpame’ che non serve ai terremotati dell’Abruzzo, ai disoccupati del Paese, e alle popolazioni che vogliono continuare sulla strada del rinnovamento e delle riforme.

Certo non si vuol mettere alcun dito tra moglie e marito, ma si vuole evitare che si possano mettere i bastoni sul percorso del Governo.

Giovanni ALVARO
Reggio Calabria 30.4.2009

IL PONTE E’ UNA SCELTA STRATEGICA IRRINUNCIABILE

Dopo il terremoto dell’Abruzzo, giocando sul dramma di quelle popolazioni, non si perde occasione per gridare ai quattro venti che mancando i soldi per la ricostruzione è necessario rinviare di qualche anno alcune opere infrastrutturali di grande peso, e fra queste, si chiede a gran voce il rinvio dello stesso Ponte sullo Stretto di Messina. Si approfitta della sciagura subìta dagli abruzzesi per tentare di bloccare un’opera strategica per lo sviluppo del Mezzogiorno.

In questa operazione si distinguono i soliti ‘sinistri’ e il trattorista molisano che dovunque si trovi, in qualunque trasmissione venga invitato, ripete in modo ossessivo e sguaiato la stessa richiesta di sospensione dell’iter realizzativo del Ponte per dedicare ogni attenzione, operativa e finanziaria, alla ricostruzione dell’Aquila e dei paesi colpiti dal sisma. Solo un misto di vergogna e pudore lo blocca nel chiedere la sospensione del Mose, della Tav e dell’Expo di Milano. O forse pensa che scontrarsi col Nord del Paese non sia per nulla salutare, mentre sembrerebbe più facile poterlo fare con il Sud? La Moratti è stata chiara, ammonendo con “il terremoto non fermi l’Expo. Non credo che la risposta sia non fare progetti che dentro di loro hanno capacità di creare ricchezza e posti di lavoro”. Vale per l’Expo, vale per il Ponte.

Bisogna, comunque, dire subito che gli interventi, massicci e urgenti, a favore dell’Abruzzo non sono per nulla in contrasto con la realizzazione di opere strategiche per l’intero Paese, anche perché non siamo, tra l’altro, un Paese così disastrato da essere messo in ginocchio per un terremoto ed essere sospinto a dover scegliere le priorità da affrontare. Se così fosse stato non saremmo la settima potenza industriale del mondo, e non avremmo potuto dire, alle nazioni amiche, che non avevamo bisogno di interventi finanziari come ha fatto il nostro premier Silvio Berlusconi.

La decisione di non sospendere l’iter del Ponte non va vista sol perché il problema finanziario è un falso problema, strumentalmente agitato dalla Casta del NO, ma deve essere letta per quello che effettivamente è: il non voler rinunciare ad una scelta strategica che può determinare una grande inversione di tendenza per l’intero Mezzogiorno. Pensare, come molti fanno, che il Ponte tutt’al più serve le due aree limitrofe di Reggio e Messina , e sarebbe una grande attrattiva turistica, il che è anche vero, sarebbe un errore. Il Ponte come rileva Zamberletti , Presidente del CdA Stretto di Messina Spa, ”è particolarmente strategico per il Sud perché, con il completamento del programma di alta velocità, il Mezzogiorno sarà collegato con il sistema ferroviario europeo rappresentando così un importante fattore di sviluppo per tutte le regioni meridionali”.

La vera novità del Ponte, rileva ancora Zamberletti, ”è che si tratta di un ponte ferroviario, e non solo stradale, che permetterà ai porti siciliani di diventare porti europei strategici con un grande vantaggio per quanto riguarda i costi di trasporto delle merci. Le merci in partenza dalla Germania e dirette verso l’Oriente, ad esempio, guadagnerebbero cinque-sei giorni di navigazione se dopo un transito in treno venissero imbarcati in Sicilia”.

Col Ponte, quindi, si darebbe l’avvio a grandi opere di infrastrutturazione a monte e a valle, e con esso avrebbe senso collegare Calabria e Sicilia all’Alta velocità rendendo veloce il corridoio Berlino-Palermo, e togliendo le regioni periferiche del Paese dal perenne isolamento in cui si trovano. Chi sbraita contro il Ponte, con argomentazioni cervellotiche (l’ombra del ponte disturberebbe il passaggio dei delfini), o con la diffusione di paure per le infiltrazioni mafiose che uno Stato forte può e deve saper controllare, o con subdoli marchingegni che, strumentalizzando il sentimento di pietà degli italiani per i lutti in Abruzzo, è un nemico vero, giurato e in malafede. E’ chiaramente un nemico del Mezzogiorno. Fra questi nemici primeggia Antonio Di Pietro.

Giovanni ALVARO

Reggio Calabria 18.4.2009

PdL, L’EVOLUZIONE NECESSARIA DAL ‘CONTRO’ AL ‘PER’

Non c’è alcun dubbio che la falsa rivoluzione di ‘mani pulite’, liquidando gli stati maggiori dei partiti che avevano governato l’Italia dal dopoguerra agli anni novanta, aveva lasciato disorientata, smarrita e spaventata la maggioranza del popolo italiano. La paura della ’gioiosa macchina da guerra’, messa in piedi da Achille Occhetto, e pronta a cogliere, in modo indiscutibile, quel potere inseguito per oltre quarant’anni, stava giocando un brutto scherzo al popolo moderato, per la propria incontrollata dispersione.

L’avanzata, come carri armati, della supponenza, dell’arroganza e della presunzione degli ex (?) stava rischiando di diventare elemento di rottura degli equilibri democratici del Paese, perché aveva diffuso a iosa la paura dell’intolleranza prima, e della fine della democrazia subito dopo. L’affacciarsi sulla scena politica di un neofita, dopo il rifiuto di raccogliere il testimone da parte di alcuni superstiti dirigenti democristiani, ha offerto un rifugio a quanti non volevano sottostare a regimi autoritari che sono sempre lo sbocco obbligato di intolleranti e supponenti.

Forza Italia, messa in piedi in pochi mesi da Silvio Berlusconi, fu vista subito come l’ancora di salvezza a cui aggrapparsi. E ad essa ci si è aggrappati facendo naufragare le speranze degli eredi di Stalin. Il blocco della macchina da guerra è stato realizzato su un chiaro terreno di opposizione. Forza Italia è nata per dire no ai comunisti, no al ‘golpe giudiziario’, no alla ghigliottina senza processo, no alla deriva autoritaria. Lo schierarsi in modo chiaro e netto contro tutto ciò ha fatto realizzare, insperabilmente, il primo grande successo, ma l’alleanza era ancora abbastanza indistinta e confusa.

Ma i successi costruiti sul terreno del ‘contro’ non hanno lunga vita. Per averla c’è bisogno soprattutto della politica del ‘per’ come quella fatta in tutti questi anni. Non si spiegherebbero altrimenti i successi che sono seguiti e il gradimento dell’attività governativa che continua ad incrementarsi ancora oggi a 10 mesi di distanza dall’insediamento del Governo Berlusconi, e a 15 anni dalla sua ‘discesa in campo’. Si è fatta una politica ‘per’ con un programma chiaro, con obiettivi condivisi e con realizzazioni ‘frenate’ solo dagli ostruzionismi dell’opposizione e da un Parlamento stretto da lacci e laccioli di regolamenti obsoleti. L’abbaiare alla luna, sport preferito dal PD, sia quand’era diretto da Veltroni che oggi quand’è diretto da Franceschini, lascia il tempo che trova, non modifica l’orientamento della gente, e fa inanellare sconfitte su sconfitte.

Non c’è stata e non c’è proposta, iniziativa, decreto o orientamento del Governo che non sia sottoposto al fuoco di fila degli oppositori. Che questo lo faccia Di Pietro è comprensibile mancandogli un retroterra politico, ma che lo faccia un partito, il PD, che ha esperienza e storia è semplicemente incomprensibile. In dieci mesi si sono minacciati scioperi, manifestazioni, referendum popolari e sfracelli più o meno risolutivi sulle proposte, in larga parte trasformate in leggi o rese operative, come quelle sull’Alitalia, sulla scuola, sulla giustizia, sui fannulloni, sul federalismo, sulle social card, sui bonus famiglie, sugli ammortizzatori sociali, sulle grandi opere, sul sostegno alle imprese, sull’energia, sulla sicurezza, sugli immigrati, sul testamento biologico, e, da ultimo, sul Piano Case.

E’ sui fatti concreti che si conquista in modo duraturo l’apprezzamento dei cittadini e il loro sostegno. E’ sui fatti concreti che continuerà ad operare il nuovo strumento dei moderati riformisti, il PdL che con la propria nascita garantisce un percorso col quale si intende modernizzare in profondità l’intero Paese. E questo con o senza l’apporto dell’opposizione.

Giovanni ALVARO
Reggio Calabria, 3.4.2009

GIANFRANCO FINI, DEMOCRATICO AFFIDABILE?

Anche se la telenovela di un Fini uomo di sinistra è diventata veramente stucchevole, essa si presta ad alcune considerazioni sulla doppiezza dei post e catto-comunisti, e merita qualche riflessione. E’ un’esigenza che sentono, soprattutto, i socialisti quelli, per intenderci, che hanno rifiutato l’egemonia di lor signori, e sono stati ripetutamente tacciati di ‘tradimento’ perché ad un’alleanza ‘normale’, a sinistra, hanno preferito fare una scelta di campo considerata ‘scandalosa’.

Ricordano un po’ tutti, ma soprattutto gli interessati, che il liet-motiv della polemica era rappresentato dal disgusto per un’alleanza con gli ‘eredi del fascismo’ rappresentati dai vecchi ma anche dai nuovi dirigenti dell’ex MSI. In particolare veniva attaccato proprio Fini, e a nulla serviva dire che, dopo Fiuggi essi si erano ‘mondati’ del peccato originale rappresentato dall’essere uomini provenienti da una ideologia sconfitta dalla storia, ed erano ormai una forza genuinamente riformista e sicuramente democratica.

Valevano, nel ragionamento dei socialisti craxiani, le scelte garantiste e riformiste decise da AN assieme all’intera coalizione, prima, della Casa e, dopo, del Popolo delle Libertà. Per anni, invece, gli ex comunisti hanno coperto di contumelie ed indicato al pubblico ludibrio quanti risultavano alleati di Silvio Berlusconi e di Gianfranco Fini.

Ma son bastate alcune dichiarazioni del Presidente della Camera per cambiare registro e musica. Non le dichiarazioni tipo: ‘le leggi razziali sono state un’ignominia’, o addirittura ‘il fascismo è stato il male assoluto’. No, non queste, ma quelle più, terra terra, tipo: – no al cesarismo; – no all’abusato ricorso ai decreti legge; – no alla tassa agli immigrati; – no all’obbligo per i medici a denunciare i clandestini curati; – si al voto agli immigrati; – no al voto delegato ai capigruppo; ed altre simili. Non, quindi, le dichiarazioni che dimostravano la rottura col proprio passato ideologico, ma le dichiarazioni che potevano essere interpretate come una presa di distanza dal suo maggiore alleato, cioè il Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi.
E allora Fini diventa un uomo politico con una solida e condivisibile cultura democratica di base, addirittura un democratico di cui ci si può fidare, né più e né meno di un Veltroni prima e di un Franceschini dopo. Anche la proposta, avanzata scherzando, che lo vedeva come novello Segretario del PD, s’inquadra in questo corteggiamento, in questo improvviso innamoramento, che liquida in un colpo solo tutte le frasi fatte sull’uomo nero, il fascista impenitente, l’erede degli stragisti, l’essere immondo da cui tenersi alla larga.

Ebbene: o hanno visto giusto, e in anticipo, i socialisti riformisti e craxiani del Nuovo PSI accettando Fini come alleato, o si pensa di forzare alcune posizioni per puntare, illusoriamente, allo scardinamento della solida alleanza che sta portando verso la costruzione del PdL. Comunque tutte e due le ipotesi sono valide perché se i socialisti avevano visto giusto, aldilà di un’inutile e non richiesta certificazione dell’attuale sinistra, i catto-comunisti strumentalmente pensano di creare problemi ad una coalizione realizzata su dati valoriali e non elettorali.

Si ripete la vecchia storia del Bossi ‘costola della sinistra’. Ma è un giochetto senza respiro politico basato solo su qualche accarezzamento che risulta offensivo dell’intelligenza dell’interessato. Ogni discesa, è opportuno ricordarlo, è anche una salita. Sarà difficile dire domani che Fini è invece un uomo nero.
Giovanni ALVARO

Reggio Calabria, 18.3.2009

IL PONTE SULLO STRETTO VERSO LA REALIZZAZIONE

  • Com’era prevedibile le decisioni del CIPE di finanziamento di importanti opere pubbliche e, con esse, del Ponte sullo Stretto di Messina, ha scatenato una marea di dichiarazioni negative, al centro come in periferia, sulla sua inutilità, sulla sua dannosità, e sul fatto che esso sia addirittura devastante (sic!). Si affermano così concetti netti, come verità rivelate, senza un briciolo di supporto scientifico e di rispetto dell’intelligenza altrui.

    Si sbizzarriscono, in questo coro univoco, dalle Alpi alle Piramidi, non solo i tradizionali signori del ‘verde’ che da esso traggono la loro ragion d’essere, ma anche le stesse forze politiche d’opposizione che tentano di cavalcare così qualunque argomento sperando di recuperare punti di consenso nell’opinione pubblica, non comprendendo però quanto la gente, di destra e di sinistra, consideri il ‘NO’ urlato soltanto un specie di accanimento pregiudiziale e politico contro un’opera che, non solo nell’immaginario collettivo, viene vista come la possibile svolta socio-economica delle nostre terre.

    Viene comunque da ridere dinanzi alle affermazioni perentorie dei ‘signor NO’ tra le quali spicca quella della Francescato (Verdi) che, dopo aver affermato, nei mesi scorsi, l’esilarante preoccupazione del disturbo che veniva causato, alla millenaria rotta dei delfini, per l’ombra proiettata sulle acque del mare, oggi afferma che “quella della realizzazione del Ponte sullo Stretto è solo un megaspot pubblicitario pensato da Berlusconi per oscurare la grave crisi economica che sta avvolgendo il nostro Paese”. Capito? E’ solo uno spot pubblicitario per distrarre la gente dalla crisi che interessa tutto il mondo occidentale. E mentre Barack Obama viene applaudito, anche dalla Francescato, per il ‘colossale progetto di interventi’ per opere pubbliche e infrastrutturali, il Governo italiano, presieduto dall’odiato Silvio Berlusconi , viene sistematicamente attaccato.

    Stavolta, però, i signori del ‘NO’ che argomentano che ci sia altro da fare al posto di faraoniche realizzazioni, hanno avuto le unghie spuntate perché assieme al finanziamento del Ponte, nella stessa seduta, il Cipe ha finanziato anche, per la Calabria, il completamento dell’A3 e il terzo megalotto per la Ss 106 jonica, e le loro dichiarazioni sulla dannosità e sulla devastazione causata dell’opera perché ‘sconvolgerebbe’ il territorio, risultano semplicemente patetiche. Chi non conosce queste nostre terre viene chiaramente tratto in inganno, ma chi le conosce rimane allibito: qual è questa terra che si sconvolgerebbe? Forse il brullo altipiano di Santa Trada? Bisognerebbe smetterla di far ridere i polli. Ben venga, quindi, il Ponte.

    Esso unirà, anche fisicamente, le due sponde, con tutto ciò che questo comporta per superare l’isolamento, abbattere i tempi di percorrenza tra continente ed isola, accelerare il processo di avvicinamento dell’Italia ai paesi rivieraschi dell’Africa, creare, finalmente reali e consistenti correnti turistiche, e concrete correnti di flusso merceologico col resto d’Italia e dell’Europa. E’ anche l’UE che ce lo chiede con la individuazione del famoso corridoio Berlino-Palermo.
    L’opera, veramente gigantesca, è una grande occasione occupazionale nella fase di costruzione, un chiaro investimento anti crisi e un’occasione di avanzamento tecnologico delle nostre imprese. Essa sarà un punto di riferimento e di attrazione che determinerà una reale svolta economica per l’intera area interessata. La mafia, infine, è solo uno spauracchio: lo Stato ha i mezzi per contrastarla adeguatamente. Avanti, quindi, Governo della Libertà, recupera il tempo che il Governo Prodi ci ha fatto perdere.

    Giovanni ALVARO
    giovannialvaro.wordpress.com

    Reggio Calabria, lì 8.3.2009

  • NESSUN ONOR DELLE ARMI A WALTER VELTRONI

    E’ condivisibile pienamente la prima parte dell’articolo di Vittorio Sgarbi sulle cause che hanno portato Walter Veltroni alle dimissioni, non più rinviabili, da Segretario Nazionale del PD . Sono condivisibili le argomentazioni, ivi inserite, che stanno alla base di un abbandono che non era più procrastinabile, ma che anzi era diventato addirittura un atto dovuto, per evitare di scivolare nel cosiddetto ‘accanimento terapeutico’.

    Alle sottolineature sui colpevoli silenzi sulla vicenda di Del Turco, all’incomprensibile inerzia sulla vicenda dell’arresto del sindaco di Pescara, alla soggezione al populismo dipietresco, vanno aggiunte anche la perdita di ogni bussola dinanzi alla questione morale esplosa anche a sinistra, l’incredibile uso del maanchismo con il quale si dava un colpo al cerchio ed uno alla botte, l’allarmismo sugli inesistenti rischi per la Repubblica paventando una deriva antidemocratica, e un lessico fatto solo e soltanto di luoghi comuni. Ma non si può condividere la chiusa finale dell’articolo con la quale Sgarbi rende onore al caduto.

    No, non è possibile offrirgli l’onore delle armi come si usa offrire ad ogni caduto. Non lo merita, Veltroni, simbolo di una classe dirigente incapace, inconcludente e, anche, pericolosa. Non lo merita veramente. Pur non essendo maramaldi, usi a infierir sui morti, non riusciamo a perdonargli le grandi responsabilità, non tanto verso il proprio partito (questo è problema che non ci interessa), quanto verso la democrazia del Paese: per l’odio che ha seminato avvelenando il clima politico e per le gemmazioni prodotte che, dopo ‘palombelle’, girotondi, Fo, D’Arcais, verdi, Grilli, sinistre radicali e, più recentemente, Pardi, Cammilleri e Levi di Montalcino, ha portato allo sviluppo incontrollato dell’IDV di ‘proprietà’ del signor Antonio Di Pietro.

    No, nessun onore delle armi a chi, dopo 5 sconfitte consecutive (elezioni politiche, regionali Friuli, comunali di Roma, Abruzzo e, ora, anche Sardegna) non ha voluto prendere atto di una realtà semplice e lapalissiana, e, anche durante la propria orazione funebre, ha continuato a seminare bugie ed odio, e ad insultare il Presidente del Consiglio. Non lo ha sfiorato, e questo è sintomatico della pochezza del personaggio, e non solo di esso, che Silvio Berlusconi continua a vincere perché è in sintonia con il Paese, comprende il ‘sentire comune’ della gente, è un passo avanti rispetto al percorso politico degli altri, avversari (non nemici) o alleati stessi. I suoi tempi non sono mai state fughe in avanti, ma anticipazione di scenari.

    E’ difficile pensare che l’attuale gruppo dirigente, sia quello che ha sostenuto Uòlter, che quello che brigava (come sempre ha fatto) contro, possa cambiare musica, anche perché la musica di questi anni è stata scritta da più mani. Le vittorie, si sa, hanno molti padri, mentre le sconfitte normalmente sono figlie di nessuno. Nel nostro caso, però, i padri dei rovesci subiti dal PD sono veramente molti. Non può tirarsi fuori nessuno. Sono quasi tutti padri dell’odio, della mistificazione, del giustizialismo, del doppiopesismo, della mancanza di respiro politico, dell’assenza di un vero programma politico, del tornaconto partitico sul cui altare hanno immolato tutti gli utili idioti, sia che si chiamassero socialisti, o che si chiamassero verdi, rifondaroli, comunisti critici, o comunisti nudi e crudi.

    Anche la scelta di ‘imbarcare’ solo Di Pietro non può essere stata solo una scelta esclusiva del nostro Veltroni perché, se così veramente è stato, vuol dire che, pur di mandarlo deliberatamente al macello, gli hanno consentito l’innesco di una vera e propria mina con il risultato, non solo, di liquidare il signor Uòlter, ma di liquidare lo stesso partito. Lo stratega di questa operazione va paragonato a quel marito che per far dispetto alla moglie… Buon riposo, signor Veltroni, l’Africa l’aspetta. Avanti un altro.
    Giovanni ALVARO

    Reggio Calabria 20.2.2009

    I BRONZI DI RIACE SIANO GLI AMBASCIATORI DELLA CALABRIA

  • In mancanza d’altro si tenta di costruire il casus belli sulla richiesta di Silvio Berlusconi di esporre i bronzi di Riace, in occasione del G8, del prossimo luglio, a La Maddalena , in Sardegna. E’ la solita storia, come sempre ci si aggrappa, come i naufraghi, a qualunque pretesto per uscire dall’isolamento politico in cui ci si trova, e si parte, per la contesa, sfornando, a raffica, comunicati stampa. In prima fila CGIL, PD , novelli esperti e “tecnici della Soprintendenza calabrese”. Ma non sarebbe ora di finirla con le chiusure precostituite, le approssimazioni sulle presunte fragilità delle statue, lo sfoggio di tecnicismo senza basi scientifiche e l’alimentazione della ridicola paura di uno scippo?

    Le statue sono patrimonio dell’umanità, e in quanto rinvenute nei nostri mari sono sotto la giurisdizione dello Stato italiano, e perché rinvenute nel mare jonico della Calabria affidate, per legge, al Museo Nazionale di Reggio Calabria. Che significa quindi diffondere preoccupazioni e paure e tuonare come fa il Segretario Provinciale delle CGIL contro la proposta dicendo che si tratta di un “attacco a Reggio Calabria e, udite, udite, di trame sotterranee contro la città messi in atto direttamente dal Governo Berlusconi?”. E quale sarebbe il motivo? Perché il Cavaliere Berlusconi dovrebbe penalizzare la città di Reggio Calabria? Che motivi avrebbe per punire una città che tanto sostegno ha tributato, e altrettanto ne continuerà a tributare, nel prossimo futuro, al fronte moderato raccolto attorno al PdL?

    La si smetta di far ridere mezza Italia dando l’impressione di una Calabria simile ad una riserva indiana che ‘difende un proprio totem’ opponendosi anche ad un semplice spostamento, dei Bronzi di Riace, tra l’altro, in un periodo di chiusura del Museo per lavori di restauro, che gli sono stati affidati dopo averli restaurati, e dopo una straordinaria esposizione, nei saloni del Quirinale, che ne ha decretato un strepitoso successo, che va, però, alimentato continuamente.

    Vittorio Sgarbi , critico d’arte senza eguali, ha già espresso la propria idea ridicolizzando la ‘balla’ della fragilità delle opere; ha, a muso duro, catalogato come ‘imbecilli e falsari’ quei ‘tecnici’ che mantengono l’accento su questa ‘baggianata’; ha criticato, senza peli sulla lingua, la CGIL che con la ‘trama sotterranea’ ha teso a lanciare ‘una vera e propria intimidazione senza logica e senza fondamento, tipica della retorica della falsa conservazione e di una sterile ideologia mista a una forma patologica di campanilismo’; e, dinanzi ad affermazioni come: ‘è una vera follia lo spostamento. Il Sindaco ha il dovere, senza ‘se’ e senza ‘ma’ di non spostarli’, espressa dal neo Segretario provinciale del PD, lo ha fortemente attaccato con: ‘Tra le forme di cultura del piagnisteo che dominano in Italia ci sono quelle dei conservatori dei musei che tengono le opere come se fossero proprietà privata’.

    L’invito che Sgarbi ha rivolto al Presidente del Consiglio ed al Ministro dei Beni Culturali a non farsi intimidire, mi sento di rivolgerlo anche al Sindaco di Reggio che ha raggiunto il consenso bulgaro del 72% per le sue grandi doti di ‘governo’ della cosa pubblica e non perché si sia fatto condizionare dalle pulsioni conservatrici o semplicemente provinciali della parte meno acculturata della gente che amministra, né dalla minaccia di sfracelli popolari che la sinistra minaccia ad ogni piè sospinto.

    Lo si è visto per opere importanti, osteggiate, come sempre dalla casta del NO, e realizzate per la capacità decisionista del Sindaco Scopelliti . Avanti, quindi, Sindaco, senza tentennamenti: i bronzi possono e debbono diventare gli ‘ambasciatori’ della nostra amata terra.

    Giovanni ALVARO

    Reggio Calabria, 15.2.2009

  • FEDERALISMO, CONTRORDINE COMPAGNI

    FEDERALISMO, CONTRORDINE COMPAGNI

    Dopo mesi e mesi di allarmismo irresponsabile per l’unità d’Italia, e la stessa ‘sopravvivenza’ del Mezzogiorno; dopo un vergognoso periodo di ‘dagli all’untore’ contro il PdL e la Lega colpevoli, il primo di aver assecondato gli obiettivi leghisti sul federalismo, e la seconda di perseguire l’inconfessabile distruzione dello Stato unitario nato dal Risorgimento italiano, è arrivato il famoso CONTRORDINE COMPAGNI che mette in difficoltà lo sbandato popolo di sinistra che adesso deve, nel migliore dei casi, ‘aggiornare’ il proprio armamentario propagandistico, ma nel peggiore, restare frastornato ed essere incapace di uscire dalla rete dove s’era messo, non sapendo più che pesci prendere.

    Il contrordine è arrivato improvviso e inaspettato con la votazione al Senato che ha varato il primo SI’ al federalismo con 156 voti a favore, 6 contrari e ben 108 astensioni che guarda caso sono dei senatori del PD e, meraviglia delle meraviglie, anche dell’IDV di Di Pietro. Dov’è andato a finire il livore antilega e la difesa del Mezzogiorno? Volatilizzati immediatamente, scomparsi come il buco dell’ozono, perché l’incivile propaganda di chi, incurante del ridicolo, cavalcava qualsiasi problema pur di dare addosso al Cavaliere nero, ossia a Silvio Berlusconi, è come le bugie, avendo le gambe cortissime.

    Si attendono, comunque, le necessarie risposte anche perché c’è chi giura che l’essersi astenuti non è che un tentativo disperato di agganciare la Lega per ripetere il ribaltone di tanti anni fa. Ma alla fine hanno solo dimostrato, PD e IDV, con quanta spregiudicatezza fanno ‘politica’ (sic!). Non si può, infatti, sull’altare del potere, da raggiungere ad ogni costo, sacrificare valori e ideali come quelli dell’unità d’Italia. Perché se erano convinti di quanto affermavano è semplicemente assurdo arrivare alla liquidazione determinando il ‘contrordine compagni’. Se così non fosse, è altrettanto grave, perché hanno solo dimostrato la falsità della loro propaganda e la strumentalità delle loro posizioni costruite per tentare un effimero consenso.

    Dispiace la scelta dell’UDC che, votando contro, ha dimostrato cecità e corto respiro. Non si diventa rappresentanti del Mezzogiorno sventolando, ad ogni piè sospinto, la bandiera del sud, e utilizzando ogni occasione per distinguersi. Non basta la ricerca spasmodica di argomenti per ritagliarsi uno spazio, né basta pensare d’averlo trovato (e ne sono veramente convinti tanto da lanciare l’idea di un referendum!) per ottenerlo ed occuparlo. Sono solo illusioni, perché le scelte senza respiro politico si pagano, sia individualmente che collettivamente.

    E si pagano anche perché il federalismo è di casa in Europa (dalla Svizzera, alla Germania) e col federalismo non è successo nulla di traumatico. L’UDC, che vuole apparire sempre prima della classe, sa che il federalismo (non la secessione) è stato un obiettivo di tutto il PdL teso a costruire strumenti nuovi, con il federalismo fiscale e solidale, per aumentare la corresponsabilità e battere, anche, le zone di evasione fiscale che sottraggono ingenti risorse alla collettività e non trovano soluzione, come l’esperienza insegna, senza un diretto e interessato controllo popolare.

    Il Nuovo PSI, che non ha rappresentanti al Senato ma ne ha solo due alla Camera, non si tirerà indietro sulle scelte federaliste, ed eviterà la ricerca dell’esposizione mediatica, tra l’altro solo per qualche giorno, per riconfermare le proprie scelte di campo. Lo farà pienamente convinto del percorso che era dell’intero PdL e non solamente della Lega. All’esposizione preferirà, certamente, la politica.
    Giovanni ALVARO

    Reggio Calabria, 26.1.2009

    SGOMBRARE IL CAMPO PER MANIFESTA INCAPACITA’

    Lo avevamo già scritto, facendo i facili profeti, che alla fine Veltroni, D’Alema e & avrebbero fatto come gli struzzi. Imbrogliano se stessi, si nascondono la verità, quella nuda e cruda della Caporetto abruzzese (anteprima di una Caporetto generale), e, come se si stesse in una normale situazione, anziché porre mano ai problemi di linea politica e correzione profonda del loro modo d’essere, decidono di mantenere lo status quo con quell’asfissiante alleanza con Di Pietro, e, con l’occhio al controllo del partito, pensano solo a come affrontare il redde rationem che comunque è stato rinviato al dopo elezioni europee.

    Siamo veramente, come si vede, all’incapacità di percepire la gravità della situazione in cui si trovano. In pratica, si è alla confusione più totale ed al possibile sfascio di quel partito che fu il PCI, il PDS, i DS e, con la Margherita, l’attuale PD, ‘amalgama mal riuscito’ (versione D’Alema), o ‘amalgama che c’è già stato alle elezioni politiche e prima ancora alle primarie’ (controreplica Veltroni).

    Non c’è dubbio che, nella scelta di non toccare nulla delle proprie alleanze, ha pesato l’esplosione della questione morale che sta facendo assaporare, anche ai ‘moralmente diversi’, quanto è terribilmente salato il mare. Come in una gara tra le Procure, infatti, si susseguono, senza soluzione di continuità, le inchieste, gli arresti, le iscrizioni nei registri degli indagati e i rinvii a giudizio, che stanno sconvolgendo il cosiddetto popolo di sinistra che, per la prima volta, forse, comincia ad aprire gli occhi sul pianeta magistrati e, a denti stretti, comincia a considerare urgente la riforma del settore. Riforma che, per anni, è stata vista come il tentativo di mettere sotto controllo l’ordine giudiziario, e non come una necessità per rendere civile e moderno un Paese sotto scacco e martoriato da abusi di ogni genere per l’autoesaltazione e la forte esposizione mediatica dei nuovi protagonisti, entrati nell’agone a gamba tesissima, quali sono stati i magistrati politicizzati.

    La preoccupazione del ristretto gruppo dirigente del PD è comunque e sempre Antonio Di Pietro e la sua capacità di sfruttare ogni loro passo falso sul terreno giustizialista. Uòlter e ‘baffino’ sanno che le iniziative del PdL non puntano a fare dell’attuale ‘tangentopoli rossa’ un vessillo da usare senza parsimonia. Forse finalmente riescono a capire che Silvio Berlusconi e i suoi alleati non usano, contro i loro avversari, i metodi della canea giustizialista come sanno fare loro e i ‘campioni del rispetto, della civiltà e del confronto’ dell’IDV e del suo leader. Certamente è stato difficile per loro, cultori dell’aggressione sistematica, capire una verità lapalissiana: solo chi non ha argomenti si rifugia nel ghetto giustizialista, mentre il PdL ne ha a iosa.

    Per esempio a Napoli e in Campania, a che servirebbe girare ferocemente il coltello nella piaga, facendo scadere l’iniziativa politica e mettendo sterco nel ventilatore? A chi gioverebbe seminare discredito sulle istituzioni? La giustizia faccia il suo corso e velocemente, ma a Napoli e in Campania, usando solo il lessico del signor Gambale (il Torquemada partenopeo famoso per gli attacchi contro Gava, Scotti, De Lorenzo e Di Donato chiamati la ‘banda dei quattro’), bisogna liquidare al più presto ‘il duo Bassolino-Iervolino’ per assoluta manifesta incapacità politica.

    Le immagini di una regione sommersa dalla spazzatura, senza citare altro, sono stati il biglietto da visita di un gruppo dirigente modesto e senza capacità di volare alto. Mostrare le mani, come ha fatto la Iervolino, e dire che sono pulite serve a ben poco. Perché per guidare una città come Napoli, ex Capitale del Regno delle Due Sicilie, servono certo mani pulite, ma anche mani operose e occhi attenti e vigili. Essendo mancate queste due condizioni, sarebbe più corretto e politicamente più salutare chiudere finalmente un’esperienza fallimentare.

    Giovanni ALVARO

    Reggio Calabria 22.12.2008

    VELTRONI, BASTA CON UN CONNUBIO INDECENTE

    Si potrà girare e rigirare attorno al problema quanto si vuole, si potranno dare mille interpretazioni alla ultima sconfitta elettorale, si potrà dire da parte di Veltroni che alla fin fine il bicchiere si presenta mezzo pieno, mentre D’Alema gli dirà sicuramente ch’esso è mezzo vuoto, se non addirittura che sia totalmente vuoto, ma alla fine faranno come gli struzzi: nasconderanno la verità nuda e cruda della Caporetto rappresentata dal risultato elettorale dell’Abruzzo.

    Non sono abituati a dire come stanno veramente le cose, ad assumersi pienamente la responsabilità di ciò che va male, ad ammettere d’avere sbagliato tutto da dieci mesi a questa parte, per cui continueranno a mentire a se stessi, e saranno vittime della loro stessa presunzione. Non che una strada diversa li potrà riportare in auge, ma almeno li salverà dal precipizio, ed eviterà all’Italia la crescita di logiche populiste e sudamericane degnamente rappresentate da quel simpatico ‘superdemocratico’ qual è il signor Antonio Di Pietro.

    Affrontare la realtà significa prendere il toro per le corna, direttamente e senza alcun infingimento, stoppando la ripida scivolata su quel piano inclinato, cosparso di grasso, dove sono riusciti a collocarsi i signori della cosiddetta sinistra obamiana che vivono di nominalismi, simboli e frasi inglesi che tanto fanno chic nelle terrazze romane. Prendere il toro dal suo simbolo può appariscente significa però riconoscere il gravissimo errore commesso nell’aver allevato e messo in circolo un nemico della democrazia, un giustizialista dichiarato, un populista senza alcun respiro politico, quando contemporaneamente si decretava la fine di sinistre antagoniste, sinistre critiche, socialisti servizievoli e verdi di ogni gradazione.

    Non che l’assenza di detti rappresentanti (Diliberto, Boselli, Pecoraro Scanio, Giordano, Mussi, ecc.) ci abbia sconvolto e ci abbia costretto a mettere il lutto, ma onestamente li avremmo preferiti al trattorista di Montenero di Bisaccia che non è un avversario politico, ma un arringa popolo proteso solo ad incrementare la propria dote elettorale, portandola oltre il 4%, per non dipendere da decisioni altrui. Infatti se l’IDV ha inseguito l’alleanza con Veltroni lo ha fatto per rendersi immune dalla filosofia del voto utile, operazione che non gli serve più volendo giocare direttamente e da solo per evitare, così, si vedersi sbattere, nel prossimo futuro, la porta dell’alleanza in faccia. Sa che per lui è finita la stagione degli incarichi di Governo, ed allora punta a mantenersi in vita e con essa a mantenersi i cospicui rimborsi elettorali.

    Rozzo quanto si vuole, ma abbastanza lucido nel suo percorso e nelle sue scelte. Di Pietro sa che la propria crescita non può avvenire a danno dei moderati raggruppati sotto i vessilli del PdL guidato dal nemico Silvio Berlusconi, ma solo a scapito dei propri compagni di merende, ed allora non si fa scrupoli dando addosso al PD ma se necessario anche alla Croce rossa. Girotondi, grilli, tensioni sociali, scuola, scioperi epifanei lo vedono sempre in prima linea e sempre col megafono in mano. A Uòlter un consiglio: non continuare a sottovalutarlo. Tu sarai più fine certamente, ma ti è mancata completamente la lucidità. Hai imbarcato un talebano, lo hai coccolato, fatto crescere, ed ora ti si rivolta contro. Per te non c’è futuro se non hai il coraggio di staccarti totalmente da tale personaggio.

    A noi che importa? Di te veramente nulla, e nulla di ‘baffino’ il tuo gemello. A noi interessa l’Italia e le politiche da assumere in questo grave momento di recessione internazionale. Convergenze sulle scelte di fondo sono più necessarie dei muri contro muri. Per questo, e solo per il nostro Paese, ci permettiamo di consigliarti la rottura di un connubio indecente.

    Giovanni ALVARO
    Reggio Calabria 16.12.2008

    SENZA BUSSOLA, CI SI AGGRAPPA ANCHE AL NULLA

    Il commento più azzeccato, anche perché chiaramente non piegato a compiacenze amicali, sicuramente perché il giornalista non frequenta le terrazze romane del politicamente corretto, o perché è di un livello veramente superiore, ci sembra quello scritto e pubblicato su Le Monde, importante testata francese, che testualmente recita: “Povero Berlusconi, appena apre la bocca gli piombano addosso”. Il giornalista continua, chiedendosi: “Francamente, dov’è lo scandalo? Si trattava soltanto di una carineria”.
    Lo avevamo già detto in passato e lo ribadiamo tutt’oggi, dopo la ‘bufera’ (si fa per dire) costruita strumentalmente, dalla pseudo sinistra, per le parole di Silvio Berlusconi su Barack Obama: qualunque cosa dica o faccia il nostro Presidente del Consiglio sappia che lo attende un’aggressione mediatica più o meno consistente. Evitino, quindi, gli alleati di consigliarlo a tenere la bocca chiusa, perché anche in quel caso scatterebbe la canea del ‘dagli all’untore’ con le allarmate dichiarazioni dei vari Veltroni, Franceschini e & che si chiederebbero il perché tace, e cosa ha da nascondere.

    Essere senza bussola, a corto di iniziative, deboli sul piano politico, sbandati su quello organizzativo, e soggetti alla ‘concorrenza’ del Di Pietro e degli oppositori interni, porta diversi dirigenti del PD a cavalcare tutto, anche il nulla, pur di segnare la propria presenza e, tentare in questo modo, di mantenere in piedi quel che resta di un esercito sempre più in drammatica rotta. Non c’è da preoccuparsi per azioni di disturbo di questo tipo, né c’è da preoccuparsi per il goffo tentativo di metter cappello sulla vittoria di Obama o addirittura nel far credere, al proprio popolo o a quello ch’è rimasto, che il vero vincitore sia il Don Chisciotte di casa nostra.

    Gli italiani che vivono su questo pianeta, e non sono extraterrestri con l’anello al naso, hanno potuto assaporare quanto sia matura la democrazia americana e quanta alta e immensa sia la civiltà di comportamento del repubblicano McCain che, subito dopo aver ingoiato il boccone amaro della sconfitta, ha incitato i propri sostenitori a stringersi attorno al ‘nostro Presidente’. Solo i ciechi o chi non vuol vedere non riuscirà mai a scorgere, in questo semplice atto, non solo la grande dignità e serietà di un avversario (non nemico), ma sopratutto il grande amor di patria che impone, superata la prova elettorale, una grande unità d’intenti. Non abbiamo dubbi che, a risultati elettorali capovolti, avremmo avuto da Obama la stessa civiltà di comportamento nei confronti del proprio avversario, e lo stesso amor di patria.

    E Veltroni, che conosce bene (sic!) l’America, quando riuscirà ad imparare il ‘veramente’ politicamente corretto? L’albero si può raddrizzare quando è piccolo. Sarà impossibile farlo quando è grande, per cui bisogna lasciarlo al suo destino. Basteranno pochi mesi, infatti, per vedere come, dopo essersi incartati da soli e dopo essersi infilati in un vicolo cieco, sarà veramente difficile riuscire a liberarsi senza danni. Basta attendere, per esempio, le mosse sulla politica estera di Obama che non saranno né repubblicane, né democratiche, ma semplicemente quelle per la difesa dell’Occidente libero e democratico.

    E a fianco di Obama ci sarà l’Italia democratica e riformista guidata da Silvio Berlusconi, mentre Veltroni e la sua sinistra faranno l’ennesima capriola inseguendo l’ennesimo corteo arcobaleno. Lo sa tanto bene anche Obama che ha voluto mettere in evidenza, telefonando, il diverso rapporto che gli USA hanno col ‘vecchio’ Silvio e col ‘giovane’ Zapatero. A ognuno il suo.

    Giovanni ALVARO

    Reggio Calabria, lì 10.11.2008