MA E’ IL ‘SAPERE SCIENTIFICO’ CHE SMENTISCE BIANCHI

Sfugge al professore Alessandro Bianchi, già Rettore dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria, che il Convegno di Catania, organizzato dall’Ordine degli Ingegneri di quella città, non era una iniziativa politica (con l’obiettivo di esaltare la bontà del Ponte), quanto un convegno di esperti del ‘sapere scientifico’ che tanto appassiona l’ex Ministro del Governo Prodi resosi famoso per la sortita, un minuto dopo il suo giuramento al Quirinale, con la quale annunciava lo stop al Ponte sullo Stretto che, infatti, fu delittuosamente bloccato.
A Catania, salvo alcuni saluti di prammatica, la scena è stata tenuta da rettori, professori, ingegneri, architetti ed esperti di ponti, sia impegnati in Italia che a livello mondiale. L’iniziativa si è avvalsa del sostegno di un Comitato Scientifico di alto livello coordinato da Luigi Bosco (Commissione Monitoraggio Nuove Norme Tecniche del Consiglio Superiore LL.PP.) e dal prof. Enzo Siviero (Ordinario di Ponti IUAV di Venezia); dell’esperienza di tre esperti mondiali del settore quali il danese Klaus H. Ostenfeld, il cinese Man-Chung Tang e l’americano Peter Sluszka; e del contributo di professionisti, ordinari e cattedratici delle nostre Università.
In parole semplici, il ‘sapere scientifico’, attualmente alla base delle più ardue elaborazioni tecniche, è stato reso ‘leggibile e fruibile’ all’attentissimo pubblico presente che è venuto a conoscenza di quanto siano diffusi i ponti in ogni parte del mondo, di quanti ve ne siano attualmente in costruzione e di quanti sono nella fase di studio ed elaborazione, incluso quello di Gibilterra. Ma è venuto anche a conoscenza di quanto siano ristretti, in tutto il mondo, i tempi necessari alla decisione politica, all’elaborazione progettuale, all’appalto dell’opera ed alla sua realizzazione.

Solo in Italia e, soprattutto, solo nel Mezzogiorno, c’è come una maledizione divina, un accanimento contro ogni ipotesi di ‘salti di qualità’ nella infrastrutturazione, e nella ricerca di nuovi percorsi per una diversa prospettiva economica. E le parole di Bianchi che ha sostenuto che non è stato condizionato da ‘pregiudizi’ ideologici, lasciano, pertanto, il tempo che trovano. La sua posizione (l’opposizione alla costruzione del Ponte), ha teso a sottolineare, nasce da un “’giudizio’ molto ponderato, che discende da studi multisettoriali, documentati e approfonditi”. Ma gli studi multisettoriali, documentati e approfonditi sono anche quelli degli esperti del Convegno che sono stati messi, a differenza di quanto abbia potuto fare Bianchi, a ‘battesimo’ dall’applicazione pratica. O l’ex Rettore pensa d’avere l’esclusiva del ‘sapere scientifico’ e che detto ‘sapere’ non sia soggetto ad evoluzioni in virtù della ricerca e degli studi?
Perché entra, a gamba tesa, nella discussione e ‘aggredisce’ l’attuale Rettore reo di essersi permesso di ‘dissentire’, timidamente e con molte cautele, esplicitate dal successivo goffo chiarimento con una debolissima motivazione, dall’ipse dixit di Alessandro Bianchi? Solo il ‘pregiudizio’ può essere la risposta in grado di giustificare questo atteggiamento che, nella pratica, nega oltre che lo sviluppo della ricerca, anche quello del libero pensiero.
Il ‘sapere scientifico’ ci ha fornito, con il Convegno di Catania, un dato certo: non esistono difficoltà che l’attuale livello delle ricerche e delle applicazioni non siano in condizioni di affrontare e risolvere sia per la costruzione del Ponte che per la sua difesa da ogni rischio (terremoti, venti, smottamenti e quant’altro). Si trovino, quindi, altre argomentazioni per ‘sparare’ contro il Ponte ed alimentare un becero ‘provincialismo’, vincente fin’ora perché sul campo c’erano solo i detrattori dell’opera. Oggi che sono scesi in campo anche gli esperti ‘silenti’ del settore è impossibile, per i negazionisti, mantenere l’appeal di prima, anche perché, per fortuna, non siamo in regimi dal pensiero unico.
Giovanni ALVARO
Reggio Calabria 25.5.2010

DA CATANIA UN NUOVO APPROCCIO AL PONTE

Peccato, veramente peccato che il Convegno sul Ponte di Messina, organizzato a Catania dall’Ordine degli Ingegneri di quella provincia, e che ha visto cimentarsi nel dibattito il fior fiore dei professionisti delle più ardue soluzioni costruttive di tutto il mondo, sia stato vissuto solo dai partecipanti all’iniziativa, stante l’assenza dei media nazionali, sia della carta stampa che delle televisioni. Si è registrata solo la presenza della stampa locale e di diversi siti web.

Peccato che il grande pubblico non abbia potuto ‘godersi’ le esposizioni degli esperti, degli ingegneri e, stavolta, col sostegno dei professori universitari che hanno abbandonato il terreno della contestazione ‘ideologica’ dell’opera che, finalmente, viene vista come elemento di reale sviluppo delle aree interessate e dell’intero Paese. La logica che sta alla base dell’entusiasmo degli addetti ai lavori è racchiusa nelle semplici ma formidabili parole con cui uno degli organizzatori del convegno, il prof. Enzo Siviero (Ordinario di Ponti all’Università IUAV di Venezia), ha sottolineato la valenza positiva del Ponte, quando ha detto: “La costruzione dei ponti è sinonimo di pace, mentre la loro distruzione significa guerra” e quando ha ricordato le parole di Giovanni Paolo II che incitava a “distruggere i muri perché dividono, ed a costruire ponti perché uniscono”.

Si, è proprio così. Da tempo immemorabile la Sicilia vuole essere unita al ‘continente’ e, assieme alla Calabria, vuole essere unita al resto dell’Italia. Ormai è chiaro a tutti, infatti, che il Ponte è la leva non solo dell’unità fisica del Paese, ma è essenzialmente elemento di ‘moltiplicazione’ della rete infrastrutturale così deficitaria, a 150 anni dal Risorgimento, in tutto il profondo Sud. Senza il Ponte l’alta velocità, come Cristo ad Eboli, sarà condannata a restare eternamente a Salerno, e senza il Ponte il Corridoio europeo 1 (Berlino-Palermo e Catania) fallisce l’obiettivo per cui è nato che è quello di fare del Mezzogiorno la base logistica dell’intera Europa, e fare dell’area dello Stretto la vera cerniera tra Europa ed Africa.

Il Convegno, che avrà una seconda puntata a Reggio Calabria, nelle prossime settimane, ha dato un formidabile contributo su questo terreno. La parte più appassionante, seguita da una sala affollatissima e attenta, è stata comunque l’excursus sullo stato dell’arte, e su quanto nel mondo, dall’Europa agli States ed alla Cina, si sta facendo nel settore dei ponti. Dalla traduzione simultanea degli interventi del danese Klaus H. Ostenfeld (Presidente onorario Cowi) e del cinese Man-Chung Tang (Presidente T.Y. International Usa) è emerso un dato certo, che liquida tutte le assurdità sparse, a piene mani negli anni passati, dai detrattori del Ponte: non esistono difficoltà che l’attuale livello delle ricerche e delle applicazioni non siano in condizioni di affrontare e risolvere sia per la costruzione del Ponte che per la sua difesa da ogni rischio (terremoti, venti, smottamenti e quant’altro).

Legittimo lo sfogo di altro componente del Comitato scientifico, Luigi Bosco: “cadono le braccia a sentire ripetere, come disco incantato, le assurdità sulle difficoltà costruttive”. Gli slider proiettati, la panoramica presentata, le realizzazioni in ogni parte del mondo fatte conoscere (Danimarca, Cina, USA) e le progettazioni in corso un pò dovunque fanno capire il ‘provincialismo’ degli atteggiamenti contrari e la chiusura costruita sul nulla. Ma che l’aria che si respira sia cambiata sensibilmente è dimostrato dal nuovo atteggiamento dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria, che fu feudo di Alessandro Bianchi, massimo esponente del no ideologico.

L’attuale Rettore, Massimo Giovannini non si è tirato indietro e, liquidate vecchie impostazioni, ha affermando che “le infrastrutture non hanno colore politico e che l’area dello Stretto, col Ponte, diverrà luogo di straordinari cambiamenti” che bisogna vivere da protagonisti. Su questi cambiamenti si è soffermata la prof.ssa Laura Thermes che, malgrado il blocco del Ponte degli anni passati, ha informato del lavoro fatta in Architettura a Reggio “prefigurando quali cambiamenti il Ponte imporrà”. Cambiamenti da governare e non da subire perché saranno altre e importanti occasioni da sfruttare economicamente ed esteticamente.

Insomma una giornata formidabile. Un tuffarsi nel regno privato degli specialisti e degli scienziati con la capacità di coniugare la tecnica con le esigenze delle popolazioni e del territorio respingendo il ricatto del ‘costo’ dell’opera. Ci ha pensato il sottosegretario Reina ricordando che un braccio della metropolitana di Roma costa più del Ponte. Aggiungiamo noi che Mose, Tav, variante di valico, Expo di Milano, e le altre infrastrutture in cantiere al Nord, non sono mai stati considerati, al Sud, da accantonare perché costano troppo. Sono opere necessarie e vanno fatte. Anche il Ponte è necessario e se deve farsi carico lo Stato del suo costo, ciò non deve diventare scandalo, soprattutto al Sud. Chi finanzia l’opera avrà diritto ai pedaggi sia se si tratti di privati che se si dovesse trattare dello Stato.

Appuntamento a Reggio, quindi, per la seconda puntata. Ma a Reggio si farà in modo di determinare quell’attenzione nazionale che a Catania non c’è stata.

Giovanni ALVARO

Reggio Calabria 22.5.2010

ULTIMI E DISPERATI TENTATIVI DI BLOCCARE IL PONTE

È arrivata sulla scena del dibattito, pro o contro il Ponte sullo Stretto, la proposta del Ponte galleggiante dell’architetto israeliano Mor Temor. Completo di strade, ferrovie, case, alberghi, locali notturni, giardini pensili e darsene per medie e piccole imbarcazioni, il progetto offre un certo richiamo, un sicuro charme, ma è presentato, dai detrattori del Ponte a campata unica, come alternativo allo stesso, con la speranza, neanche tanta nascosta, di poterne bloccare l’iter realizzativo.

Anche la proposta di Ponte galleggiante conferma così il furore nichilista di quanti, per scelta ideologica, cavalcano aprioristicamente qualunque ipotesi che sia in opposizione al Ponte sullo Stretto. Ed è stato così anche al Convegno di presentazione del progetto del Ponte galleggiante dove sembrava di assistere, con qualche timida eccezione, alla celebrazione del No, caratterizzata, oltre che dai soliti catastrofismi (venti, terremoti, smottamenti, finanziamenti, difficoltà di costruzione, disastri ambientali) da subdole ipotesi sospensive che possiamo così sintetizzare: ‘il ponte galleggiante abitato è il non plus ultra nel settore dei ponti e, ergo, sarebbe opportuno che ci si fermasse un attimo per valutare se la medicina alternativa proposta è veramente innovativa’.

Pura e semplice irragionevolezza giocata contro il Ponte che ha già subìto un iter quanto basta travagliato e lungo, che ha visto una gara d’appalto regolarmente espletata, con gli aumenti di capitale della Società Stretto di Messina decisi, con gli stanziamenti del Cipe effettuati, e che si trova adesso nella fase di progettazione esecutiva da rendere concreto entro il 30 settembre prossimo. Ma questa scellerata illogicità va diritto contro gli interessi delle popolazioni calabre e sicule che sull’attraversamento stabile dello Stretto fondano le loro speranze di un sano riscatto economico e sociale. Ma onde evitare d’essere accusati di identico aprioristico atteggiamento contro l’ultima proposta avanzata, facciamo un minimo di ragionamento.

I due Ponti supposti alternativi (a campata unica o galleggiante) non sono per nulla tali per tre importanti motivi: la localizzazione, le ipotesi di finanziamento e le motivazioni che li sorreggono. Nel caso della localizzazione, il Ponte a campata unica sarà costruito nel punto più vicino tra le due sponde e, attraverso una serie di viadotti e gallerie, si eviterà il massacro del territorio determinando l’amalgama con le zone abitate. La seconda ipotesi progettuale, vale a dire il Ponte galleggiante, avverrebbe diversi chilometri più a sud, vale a dire direttamente tra due zone densamente abitate delle due città, che non sarebbero sorvolate ma interessate massicciamente e direttamente, e con le tante difficoltà operative che è ingenuo sottovalutare.

Il finanziamento. Nel primo caso oltre al 40% di capitale pubblico, pari a 2,5 miliardi di euro, già deciso e deliberato, si ricorrerà al project finance per il restante 60% pari a 3,8 miliardi di euro; per il ponte galleggiante abitato si ipotizza un autofinanziamento con la congetturata vendita di 3 milioni di mq. di abitazioni ed altro!

Diverse profondamente le motivazioni delle due opere. Per il Ponte galleggiante si tratta di realizzare un collegamento che sia propedeutico all’interscambio tra le due città e le due province. In poche parole è un’opera finalizzata al pendolarismo o, se proprio si vuol andare oltre, utile alla conurbazione ed alla creazione della Città dello Stretto. Valore importante per le due realtà urbane e per i cittadini dei due territori, ma senza una rilevante portata economica per un tangibile sviluppo delle aree meridionali. Il Ponte sullo Stretto, quello per intenderci già appaltato e avviato alla realizzazione, è nato come collegamento tra le due sponde ma è diventato, nelle scelte europee, segmento importante del corridoio 1 Berlino-Palermo il cui obiettivo è quello di ridurre i tempi di percorrenza delle merci da e per il Nord Europa da e per Medio ed Estremo Oriente.

Non può sfuggire a nessuno, salvo preconcetti e furori ideologici, l’importanza di captare il traffico merci che nel Mediterraneo ammonta al 30% dell’intero traffico mondiale, e delle ricadute che tale captazione determinerà nelle regioni meridionali che diventeranno una reale base logistica dell’Europa. Né potrà sfuggire che il Ponte determinerà un’infinita serie di ricadute infrastrutturali le più importanti delle quali saranno l’Alta velocità, oggi ferma a Salerno, che toglierà anche la Calabria e la Sicilia dall’isolamento in cui si trovano; il potenziamento dei porti che attorno all’hub principale di Gioia Tauro necessariamente dovranno essere sorretti e potenziati (da Siracusa a Catania, da Palermo a Milazzo, da Messina a Reggio e Vibo Valentia); la conclusione del rinnovo della A3, della Statale Jonica 106 e delle pedemontane. Questa lista non esaustiva di conseguenze positive per l’intero territorio fanno difetto nell’ipotesi alternativa.

C’è troppo in gioco per permettere che venga rimesso in discussione quanto, faticosamente, si è riusciti a far partire. La baricentricità mediterranea del Ponte rispetto ai Paesi rivieraschi ne fa un’opera che può saldare il Sud d’Italia con i paesi che si affacciano nel Mediterraneo: una cerniera tra Africa ed Europa. Dovrebbero solo far sorridere i lai di quanti pensano che basta avere un minimo di visibilità per sentenziare sul futuro di intere popolazioni.

Nessuno osi toccare il futuro del Mezzogiorno.

Bruno SERGI*
Giovanni ALVARO

* Docente Facoltà Economia Università di Messina

Cofondatori del ‘Comitato Ponte Subito’

Reggio Calabria 4.5.2010

PONTE: BASTA CON L’IPOCRISIA SPECULANDO SU TUTTO

E’ un ritornello che non cambia mai, ed è un ritornello che non produce alcun effetto anche se viene cantato da un trio d’eccezione (si fa per dire) qual è quello che si è appalesato dopo la frana che ha investito il paesino di Maierato nel Vibonese in Calabria. Un Presidente nazionale dei Verdi, un Segretario regionale dei Comunisti Italiani, e un autocandidato a Governatore della Calabria successivamente targato IDV, hanno cantato una strofa a testa che, con piccole varianti, sostanzialmente era questa: “Fermiamo il Ponte sullo Stretto ed usiamo quei fondi per finanziare un piano straordinario per la messa in sicurezza del territorio”.

I tre signor No si atteggiano a novelli ‘salvatori della patria’ con una buona dose di ipocrisia finalizzata, (nelle loro misere speranze), a ‘rubacchiare’ qualche voto nella ormai imminente consultazione regionale. E ciò incuranti del ridicolo a cui si espongono ma di cui non si preoccupano. ‘Rubacchiare’ voti, anche se tra di loro e con i loro alleati, è l’ultima frontiera del loro impegno politico. Ma l’atteggiamento strumentale, con i forti lai per la gravità della situazione idrogeologica del territorio, è chiaramente intriso di malafede.

I tre sanno, e se non lo sanno si dedichino ad altre attività, che i fondi del Ponte sono quelli deliberati dal Cipe (1,3 miliardi di euro), e quelli frutto dell’aumento di capitale da parte della Società ‘Stretto di Messina’ (che ai 300 milioni iniziali ne ha aggiunti altri 900 qualche settimana fa). La parte di intervento pubblico, quindi, ammonta a 2,5 miliardi ed è pari al 40% del costo dell’opera. Il restante 60% sarà reperito sul mercato internazionale col sistema del project financing.

Di detti fondi, gli utilizzabili per altro sono solo quelli stanziati dal Cipe, così come fece, a suo tempo, il Governo Prodi sensibile, per mantenere unita l’armata Brancaleone, alle sollecitazioni verdi, rosse e arcobaleno di cui si era fatto interprete l’allora Ministro delle Infrastrutture, Alessandro Bianchi. Di quello storno, che bloccò l’iter esecutivo dell’appalto del Ponte, facendo perdere ben due anni, non si è vista alcuna traccia, tanto che nessuno saprebbe dire a cosa son serviti quei fondi, se veramente son serviti.

Basta, quindi, con l’ipocrisia. Spostare 1 miliardo e 300 milioni non serve a nulla. Il piano che viene pomposamente richiesto per mettere in sicurezza l’intero territorio nazionale costerà decine e decine di miliardi di euro e, quindi, non è possibile affrontarlo in tempi ravvicinati. Così come non lo ha potuto affrontare il Governo della cosiddetta sinistra che alternativamente, in questi 15 anni, è stato alla guida (?) del Paese, mentre qualcuno del trio è stato ed è ancora Assessore regionale della martoriata terra di Calabria distinguendosi per le campagne sul No e per i suggerimenti a Loiero che già da solo era in condizione di mal governare e di non comprendere la valenza strategica del Ponte sullo Stretto per il Sud e per l’intero Paese.

Il Ponte sarà, infatti, l’occasione che il Mezzogiorno dovrà saper utilizzare pienamente, perché non si tratta di costruire solo la struttura che permetterà l’attraversamento stabile dello Stretto ma di agganciarla ad un tracciato ferroviario che sopporti l’Alta Velocità (oggi ferma a Salerno), che si colleghi ad una autostrada che sia finalmente praticabile, e che sia supportata da una rete di porti che, attorno a Gioia Tauro, soddisfino la domanda di trasporto dal corridoio 1 verso il Medio ed Estremo Oriente e viceversa. Solo i ciechi e chi è in malafede non capisce che tutto ciò comporterà massicci interventi anche di salvaguardia e di difesa del territorio.

Speculare sulle disgrazie delle nostre popolazioni è quanto di più aberrante possa essere fatto. Ma tant’è, questa è la classe dirigente che ha distrutto il Mezzogiorno e che è necessario spazzare via definitivamente.

Giovanni ALVARO
Reggio Calabria 18.2.2010