SGOMBRARE IL CAMPO PER MANIFESTA INCAPACITA’

Lo avevamo già scritto, facendo i facili profeti, che alla fine Veltroni, D’Alema e & avrebbero fatto come gli struzzi. Imbrogliano se stessi, si nascondono la verità, quella nuda e cruda della Caporetto abruzzese (anteprima di una Caporetto generale), e, come se si stesse in una normale situazione, anziché porre mano ai problemi di linea politica e correzione profonda del loro modo d’essere, decidono di mantenere lo status quo con quell’asfissiante alleanza con Di Pietro, e, con l’occhio al controllo del partito, pensano solo a come affrontare il redde rationem che comunque è stato rinviato al dopo elezioni europee.

Siamo veramente, come si vede, all’incapacità di percepire la gravità della situazione in cui si trovano. In pratica, si è alla confusione più totale ed al possibile sfascio di quel partito che fu il PCI, il PDS, i DS e, con la Margherita, l’attuale PD, ‘amalgama mal riuscito’ (versione D’Alema), o ‘amalgama che c’è già stato alle elezioni politiche e prima ancora alle primarie’ (controreplica Veltroni).

Non c’è dubbio che, nella scelta di non toccare nulla delle proprie alleanze, ha pesato l’esplosione della questione morale che sta facendo assaporare, anche ai ‘moralmente diversi’, quanto è terribilmente salato il mare. Come in una gara tra le Procure, infatti, si susseguono, senza soluzione di continuità, le inchieste, gli arresti, le iscrizioni nei registri degli indagati e i rinvii a giudizio, che stanno sconvolgendo il cosiddetto popolo di sinistra che, per la prima volta, forse, comincia ad aprire gli occhi sul pianeta magistrati e, a denti stretti, comincia a considerare urgente la riforma del settore. Riforma che, per anni, è stata vista come il tentativo di mettere sotto controllo l’ordine giudiziario, e non come una necessità per rendere civile e moderno un Paese sotto scacco e martoriato da abusi di ogni genere per l’autoesaltazione e la forte esposizione mediatica dei nuovi protagonisti, entrati nell’agone a gamba tesissima, quali sono stati i magistrati politicizzati.

La preoccupazione del ristretto gruppo dirigente del PD è comunque e sempre Antonio Di Pietro e la sua capacità di sfruttare ogni loro passo falso sul terreno giustizialista. Uòlter e ‘baffino’ sanno che le iniziative del PdL non puntano a fare dell’attuale ‘tangentopoli rossa’ un vessillo da usare senza parsimonia. Forse finalmente riescono a capire che Silvio Berlusconi e i suoi alleati non usano, contro i loro avversari, i metodi della canea giustizialista come sanno fare loro e i ‘campioni del rispetto, della civiltà e del confronto’ dell’IDV e del suo leader. Certamente è stato difficile per loro, cultori dell’aggressione sistematica, capire una verità lapalissiana: solo chi non ha argomenti si rifugia nel ghetto giustizialista, mentre il PdL ne ha a iosa.

Per esempio a Napoli e in Campania, a che servirebbe girare ferocemente il coltello nella piaga, facendo scadere l’iniziativa politica e mettendo sterco nel ventilatore? A chi gioverebbe seminare discredito sulle istituzioni? La giustizia faccia il suo corso e velocemente, ma a Napoli e in Campania, usando solo il lessico del signor Gambale (il Torquemada partenopeo famoso per gli attacchi contro Gava, Scotti, De Lorenzo e Di Donato chiamati la ‘banda dei quattro’), bisogna liquidare al più presto ‘il duo Bassolino-Iervolino’ per assoluta manifesta incapacità politica.

Le immagini di una regione sommersa dalla spazzatura, senza citare altro, sono stati il biglietto da visita di un gruppo dirigente modesto e senza capacità di volare alto. Mostrare le mani, come ha fatto la Iervolino, e dire che sono pulite serve a ben poco. Perché per guidare una città come Napoli, ex Capitale del Regno delle Due Sicilie, servono certo mani pulite, ma anche mani operose e occhi attenti e vigili. Essendo mancate queste due condizioni, sarebbe più corretto e politicamente più salutare chiudere finalmente un’esperienza fallimentare.

Giovanni ALVARO

Reggio Calabria 22.12.2008

LA PROTERVIA E L’ARROGANZA NON DEVONO PASSARE

No e poi no, l’arroganza e la presunzione con le quali si tenta di imporre al Parlamento di fare una scelta, a Presidente della Vigilanza Rai, molto discutibile per l’assenza totale, nel candidato proposto, di un pur minimo elemento di equilibrio da super partes, non possono e non devono passare. A tal fine non potranno servire nè i digiuni pannelliani, né lo stesso invito di Giorgio Napolitano al Parlamento a voler adempiere pienamente ai propri compiti istituzionali.

Il digiuno di Marco Pannella e l’invito del Presidente della Repubblica, ambedue indirizzati a tutti i ‘contendenti’, devono, semmai, servire a ricercare condivise vie di sblocco di una situazione delicata che sembra utilizzata per sancire pesi e contrappesi all’interno del variegato mondo dell’opposizione. La Presidenza della Vigilanza è in sostanza la scusa per misurarsi tra Di Pietro e PD, e poter affermare, da parte dell’IDV, il proprio indiscusso autonomo ruolo di giacobinismo allo stato puro, e la propria capacità di imporre i propri disegni anche ad una grande aggregazione com’è il partito nato dalla somma di DS e della Margherita..

Non c’è altra spiegazione, infatti, nel volersi intestardire in una proposta, antesignana del giustizialismo dell’era moderna, che storicamente rappresenta la parte più oscena delle forze succube del ruolo ‘etico’ della Magistratura, e la parte più plateale dell’antimafia da convegno o da tavola rotonda. Indecenti i suoi attacchi a Giovanni Falcone che hanno contribuito a isolarlo rendendolo più esposto alla strategia stragista della mafia siciliana, e vergognosi e infamanti, in una trasmissione televisiva, gli attacchi diretti contro il Maresciallo Lombardo che non ha retto alle insinuazioni e si è sparato un colpo di pistola alla testa alla vigilia del suo viaggio negli States per prelevare il boss Badalamenti che era pronto a venire a deporre al processo contro Giulio Andreotti per smentire le panzane sostenute dal cosiddetto ‘pentito’ Buscetta.

No e poi no, il nostro Leoluca Orlando Cascio può stare con Di Pietro, può essere stupidamente accolto, per ragioni di alleanza, dagli ex comunisti, può continuare a fare carriera con l’antimafia da barzelletta e utilizzare tutte le occasioni che gli si presentano, ma non può essere un soggetto super partes in un ruolo da assumere con i voti determinanti del PdL.

Ed allora, come si esce dall’impasse? Come rispondere positivamente ad un Presidente, che superata la fase di rodaggio iniziale, si sta dimostrando veramente super partes? Come evitare che l’attuale ‘digiuno’ pannelliano (ma sarebbe ora che Marco la smettesse di ‘ricattare’ il sistema politico italiano con questi mezzi) possa scivolare verso pericolosi sbocchi? La strada è quella di una rosa di nomi tra i quali scegliere. E’ la proposta avanzata da Casini che, a scanso di equivoci, ha dichiarato anche che non intende avere nella rosa alcun nome di personaggi aderenti al suo partito.

La convocazione della riunione congiunta dei capigruppo alla Camera ed al Senato decisa da Schifani e Fini va in questa direzione, e credo che il Nuovo PSI di Stefano Caldoro debba sostenere questa strada che, tra l’altro, sarebbe la più corretta per evitare la ‘putinizzazione’ del Parlamento (vero Veltroni?) che con una sola proposta sarebbe chiamato solo a ratificare quanto la protervia e l’arroganza scodellano. La storia ci ricorda che questo, nel nostro Parlamento, non avviene neanche per l’elezione del Presidente della Repubblica. Non può adesso avvenire perché lo richiede il Di Pietro di turno.
Giovanni ALVARO

Reggio Calabria 05.10.2008