ORA BISOGNA REALMENTE FARE FUTURO

La riunione della Direzione nazionale del PdL segna la fine di un ciclo e l’apertura di una nuova fase indipendentemente da quel che potrà ancora accadere nella cronaca dello scontro voluto, ricercato ed attuato da Gianfranco Fini con il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. E’ la prima volta, infatti, che la classe dirigente di quel partito appare, come tale, all’opinione pubblica, dimostrando d’essere all’altezza della situazione più di quanto non fosse apparso nello stesso Congresso nazionale dove tutto sembrava predisposto, meccanico e già deciso.

Un salto di qualità che non solo ‘sdogana’ il PdL dall’etichetta di partito di plastica ma dimostra anche, con la diretta sulla riunione, che la democrazia nel Partito è così fortemente presente che non c’è stata preoccupazione nel rendere pubblico lo scontro in atto, e che quanto blaterato da Fini sulla necessità d’avere legittimità di dissenso, e poter dire ciò che voleva, era solo una richiesta strumentale, falsa e ipocrita, e che altrettanto strumentali, false e ipocrite sono state le ‘cosiddette’ motivazioni politiche sbandierate, in particolare quelle sulla Lega, quando da mesi gli argomenti del ‘controcanto’ si erano concentrati su tutt’altri piani.

Ma c’è un altro punto che dimostra la validità della scelta di affrontare a viso aperto l’atteggiamento di Fini che, detto per inciso, stava provocando una fase di forte e continua fibrillazione. Mantenere l’equivoco e sottostare al fuoco di fila di Gianfranco, infatti, stava logorando sensibilmente la leadership del PdL e la capacità d’azione del partito. Era necessario e urgente bloccare quello che sembrava un tentativo di cottura a lento fuoco e isolare, quanto più possibile, una manovra paralizzante.

L’obiettivo è stato centrato, ma non possono escludersi pericolosi colpi di coda, in conseguenza dell’emersione del bluff, sulla reale consistenza degli ‘ammutinati’. Difatti l’aver contato 11 o 12 voti contrari al documento finale, su 172 membri della Direzione (di cui 54 provenienti dall’ex AN), oggettivamente incattivisce ulteriormente il Presidente della Camera le cui affermazioni, sulla lealtà verso il partito e la necessità di realizzare il programma votato dagli elettori, appaiono semplicemente vacue.

Non sembra, infatti, che lo ‘sconfitto’ sia intenzionato a rispettare le scelte della maggioranza, né di rientrare nel ruolo di Presidente della Camera assolvendolo con spirito ‘super partes’ se è vero, come sembra (mancando una smentita in proposito), che abbia minacciato ‘scintille’ in Parlamento. E la cosa è gravissima sia perché espressa dalla terza carica dello Stato, ma anche perché la sinistra, così sollecita a rintuzzare ogni virgola di Silvio Berlusconi, non ha trovato niente da ridire sull’ipotesi di un uso non consono della funzione ricoperta da Gianfranco Fini. Anzi, egli viene osannato in tutti i luoghi, in tutti i laghi, in tutto il mondo, come nuovo idolo.

Ora c’è chi tenta, e va apprezzato lo sforzo, di ricucire gli strappi, ma sarà fatica inutile: troppa acqua è passata sotto i ponti e miserrime sono le motivazioni per poter ottenere una reale marcia indietro. Gianfranco è troppo innamorato del suo io per avere questo coraggio e troppo ansioso di vendette per accettare supinamente la perdita del proprio ‘esercito’ e la fine dei propri disegni. Gli errori commessi fino ad oggi saranno moltiplicati perché l’ira come si sa rende praticamente ciechi e il deragliamento ormai è un dato immodificabile.

Il cammino che ha condotto all’Auditorium della Conciliazione colui che, impropriamente, viene chiamato il co-fondatore del PdL, è iniziato molto tempo fa (com’è testimoniato da scritti inediti di Bettino Craxi, che pubblicheremo quanto prima n.d.r.), ma ha subito una accelerazione dalla fase di costruzione del PdL che lui, come Casini, non intendeva assecondare. ‘E’ stato un errore -ha ripetuto a Berlusconi- essere entrato nel PdL’. Ma è stato anche un errore, diciamo noi, aver pensato di poter liquidare in pochi mesi, per sostituirlo, l’autore del ‘predellino’.

L’attesa, mista alla speranza che il vento che soffiava forte nelle vele issate da Berlusconi cessasse, diventava sempre più insopportabile. Il premier mieteva vittorie su vittorie, e reggeva agli attacchi sistematici di una sinistra incapace di produrre una seria politica e che, per ciò, affidava le proprie sorti al gossip, ai pentiti, alle intercettazioni, alla Magistratura militante. Da questo susseguirsi di successi nasceva il ‘controcanto’, l’atteggiamento da maestrino, fino alla manifestazione di Piazza San Giovanni che platealmente ha voluto disertare, magari perché speranzoso di un ‘flop’ che, con la vicenda dell’esclusione della lista PdL di Roma, poteva compromettere il risultato elettorale.

Ma non è andata così: la Polverini, abbandonata al suo destino, è stata trascinata alla vittoria dal premier. E il premier si è assunto direttamente l’onere della campagna elettorale in tutt’Italia contribuendo a rafforzare le splendide vittorie di Caldoro in Campania, di Scopelliti in Calabria e di Cota in Piemonte. E’ mancata al Sud la Puglia dove, sembra, abbia messo lo zampino anche il nostro eroe. Ma questa ormai è acqua passata.

Adesso bisogna fare futuro non escludendo nessuna opzione per evitare di ripiombare nella guerra di logoramento che di fatto blocca le ipotesi di riforme che il Paese attende da anni, da quelle costituzionali a quelle sulla giustizia, dalle politiche energetiche alle grandi opere, dall’ammodernamento dello Stato alla riforma fiscale. Su quest’altare si possono pagare dei prezzi, ma ne varrà la pena perché si tratta di passare definitivamente dalla prima alla seconda Repubblica.

Giovanni ALVARO

Reggio Calabria 26.04.2010

IL CONTROCANTO DI FINI AI SUCCESSI DI BERLUSCONI

Il controcanto, quello in cui si è specializzato Gianfranco Fini, quello che viene recitato ogni volta che Silvio Berlusconi apre bocca, quello che tanto piace alla sinistra applaudente, sarà anche celebrato dagli antiberlusconiani come un grande evento perché fa sognare e immaginare scenari che la realtà non consente di ottenere, ma è la confessione nuda e cruda della mancanza di idee, il rifugio dove rintanarsi quando si è a corto di proposte e deficitari di iniziativa politica, e quando si pensa che non c’è altro da fare che vestire i panni dello sfascista.

I poveri di spirito possono anche appassionarsi per i refrain finiani che se bastano a prendere le distanze da chi si intende criticare, non servono, però, per diventare leader amato e rispettato; né bastano la facilità di linguaggio, l’atteggiamento da maestrino, messo in mostra ad ogni piè sospinto, e il ruolo di terza carica dello Stato, per affermarsi, in modo indiscutibile, quale leader di un popolo che non è solo di destra ma coinvolge moderati di diversa estrazione, riformisti difficilmente inquadrabili, liberali e libertari con diversa sfumatura, socialisti anticomunisti senza se e senza ma, garantisti con spiccata sensibilità e democratici sinceri. In parole semplici il Popolo della Libertà.

E’ un popolo così composito che è impossibile piegare alle proprie aspirazioni, impossibile guidare senza un forte pensiero politico, e senza quel quid che si chiama ‘carisma’. E’ un popolo, quello della libertà, che ha testa, cuore e pancia, e che rimane coeso se si ha capacità di parlare con semplicità a tutte e tre le componenti. Scegliere di parlare solo ai ‘pancisti’ stimola adesioni, risveglia sopite speranze, attiva il cosiddetto popolo di nicchia, ma non va oltre. Se è questo che vuole Fini non è difficile ottenerlo ma, è chiaro, che non potrà diventare leader della maggioranza, ma deve accontentarsi d’essere semplice capo di settori marginali della società.

Tra l’altro è un popolo che non perdonerà mai che le riforme, per modernizzare lo Stato e ripristinare la divisione dei poteri, che tanti guasti ha causato al Paese, giunte quasi in dirittura d’arrivo, possano correre il rischio d’essere vanificate. E perché poi? Quali sarebbero le motivazioni del controcanto? Su quale altare bisognerebbe immolare i successi mietuti negli ultimi anni, quando più virulento si era fatto l’attacco al premier e al PdL? Ma ciò che fa più rabbia è il fatto che tutto avviene quando la sinistra attraversa la più grave crisi della sua esistenza.

Si ha l’impressione che si stava sulla riva del fiume sperando di vedere transitare il cadavere di Silvio Berlusconi, a partire dalla vicenda dei rifiuti di Napoli, e poi del terremoto de L’Aquila, e poi ancora del G8. Successi inimmaginabili e stupefacenti che anziché determinare soddisfazione provocavano fastidio a qualcuno che, forse, sognava che il premier si incartasse da solo, e magari sperava (fuorionda galeotto) che cadesse nella rete tesagli con ‘pentiti’ considerati erroneamente ‘da bomba atomica’ ma che erano semplici squinternati, o che infine restasse fulminato per le intercettazioni su Bertolaso e per quelle di Trani.

Infine il controcanto su tutto, la presa di distanza sulle iniziative parlamentari del Governo, l’illusione di un possibile flop della manifestazione di Piazza San Giovanni (‘la terza carica dello Stato non può partecipare a iniziative di piazza’), e chissà forse la speranza di un crollo elettorale che con le vicende delle liste si poteva appalesare. Ma niente di questo è avvenuto, anzi il sole continua a splendere sul Cavaliere. E questo è stato, forse, troppo, incattivendo le posizioni e determinando accelerazioni che possono portare i protagonisti in un vicolo cieco.
Giovanni ALVARO
Reggio Calabria 21.04.2010

IL SISTEMA ELETTORALE E’ UN FALSO PROBLEMA

La discussione sviluppatasi dopo la dichiarazione del premier Silvio Berlusconi sul semipresidenzialismo è scivolata fuori dal binario su cui si era mosso il Presidente del Consiglio. Prova di questo deragliamento è stata la sortita “controcorrente” di Gianfranco Fini centrata sulla necessità che il semipresidenzialismo, per essere efficiente, dovrebbe accompagnarsi ad un modello elettorale a doppio turno, non spiegando però, come il doppio turno potrebbe dare legittimità al semipresidenzialismo, mentre il turno unico lo penalizzerebbe.

E’ bastato, quindi, poco per spostare la discussione dai reali obiettivi posti da Berlusconi, ai modelli elettorali che appassionano gli ‘esperti’ del settore e non certamente la grande maggioranza dei nostri concittadini. E su questo terreno se ne sono sentite di tutti i colori: maggioritario, maggioritario a collegi uninominali, proporzionale, proporzionale con premio di maggioranza, turno unico, doppio turno alla francese, mixer alla tedesca, sistema spagnolo, intreccio tra maggioritario e proporzionale, mattarellum, porcellum e così via. Discussione ‘interessante’, ma chiaramente fuori tema.

Nel recente passato le motivazioni per usare un sistema piuttosto che un altro vertevano sulla necessità di garantire stabilità al governo al Paese. E detta stabilità è stata garantita per 5 anni, nel 2001, con il sistema maggioritario a collegi uninominali e quota proporzionale; ed oggi, siamo già a due anni, la stabilità sembrerebbe garantita con il sistema proporzionale con premio di maggioranza. Mentre nel 2006 il Governo Prodi entrò in crisi, per impossibilità di coesione tra i propri alleati, e si dovette andare a nuove elezioni. Ma fu un passaggio obbligato stante l’impossibilità ‘politica’ di procedere alla formazione di un Governo frutto di alchimie parlamentari come era avvenuto in altre occasioni.

Il sistema elettorale vigente (proporzionale con premio), pur dotando la maggioranza di un ampio margine per garantire la governabilità, presenta delle lacune, ma non tali pervenire alla liquidazione dello stesso. Esso necessita di qualche aggiustamento e va accompagnato da provvedimenti legislativi che colgano pienamente quanto sta alla base della proposta di Berlusconi. L’aggiustamento più importante è la reintroduzione della preferenza per evitare che gli eletti vengano percepiti come ‘nominati’ dalle segreterie dei partiti, anziché essere visti come scelte decise dagli elettori.

Ma è indispensabile il varo di provvedimenti che fanno definitivamente uscire l’Italia dalla fase di prima repubblica indipendentemente dal sistema elettorale. Fra questi provvedimenti, il più urgente è quello di chiudere, una volta per tutte, la prassi che liquida il bipolarismo, con il quale si affronta una campagna elettorale, e lo si sottopone alla vecchia pratica dei giochi di corridoio arrivando magari a veri e propri ribaltoni. E’ una pratica che mortifica le scelte fatte dall’elettorato, ma è anche una pratica che tiene il Presidente del Consiglio ed il suo governo in uno stato di perenne ricatto parlamentare. Il potere del Presidente del Consiglio, che deriva direttamente dall’elettorato, non può essere menomato da ricatti che di politico hanno ben poco, ma deve essere garantito per legge per permettergli di governare compiutamente.

E’ chiaro che obiettivi simili vengano osteggiati da chi, fuori e dentro l’attuale maggioranza, sogna di ottenere con gli intrighi di palazzo, magari con il supporto dei poteri forti, quanto non è stato in grado di ottenere dalle urne. La posta in gioco è, come si vede, abbastanza importante, perché la governabilità che si persegue non è riferita solo alla durata del governo, ma alla sua qualità che può affermarsi se viene sottratta agli sgambetti, ai sotterfugi ed ai ricatti. In quest’ambito il sistema elettorale è, quindi, un falso problema.
Giovanni ALVARO
Reggio Calabria 15.04.2010