GRAZIE A CRISTIANO DI PIETRO, FORSE…

Clemente Mastella, in modo accorato, ha dichiarato che non avrebbe osato pensare a cosa sarebbe successo se una telefonata come quella del ‘pezz’e core’ Cristiano Di Pietro fosse stata registrata sulla propria utenza telefonica. “Per molto meno -ha continuato- mia moglie Sandra è stata arrestata, ed io ho dovuto lasciare il Ministero di Grazia e Giustizia, il partito, la carriera politica”. Con questa battuta il caro Clemente ha sintetizzato il doppiopesismo giudiziario esistente in Italia che, proprio per l’affermazione che lo ha basìto, sembra essergli nuovo e inedito.

No, caro ex Ministro di Grazia e Giustizia, non c’è nulla di nuovo oggi nell’aria, anzi è tutto antico. Solo chi non ha voluto vederlo, non s’è accorto che venivano usati, e non solo dai media, due pesi e due misure, a seconda dell’appartenenza politica dei soggetti interessati. Solo chi, spinto a ingraziarsi l’ordine considerato ‘invincibile’, e anche per questo impegnato a neutralizzare quanto realizzato dal precedente Ministro on. Castelli, poteva far finta di non scorgere la realtà che scivolava sempre più verso una deriva incontrollabile, e dimostrarsi così un marziano scandalizzato.

C’è una frase però dell’ex Ministro che merita un’approfondimento, ed è quella con la quale Mastella ha affermto: “A Di Pietro pare che tutto sia concesso. Sembra che molti ne abbiano paura”. E’ una frase che rispecchia fedelmente il pensiero che hanno molti, anche all’interno dello stesso Partito di Veltroni, che continuano a non spiegarsi, prima l’alleanza con Di Pietro a scapito di comunisti, socialisti e verdi, e poi il continuo inseguire le sue iniziative populiste; l’appiattimento sul suo credo giustizialista; e l’accettazione dei suoi candidati imposti a suon di provocatorie affermazioni pubbliche. Non si dimentichi che in Abruzzo il candidato a Governatore era un uomo di Di Pietro che il PD ha dovuto, obtorto collo, ingoiare col risultato super deludente registrato a spoglio concluso.

Ma, se veramente Uòlter e il più ristretto gruppo dirigente dei PD, hanno paura del nostrano mini Robespierre, c’è qualcosa che non è ancora emerso e che è necessario far emergere. Forse, per questo, bisognerebbe tornare indietro con la memoria e capire la vicenda della valigetta, piena di soldi di Gardini, seguita da Di Pietro fin sul portone di Botteghe Oscure e quindi letteralmente scomparsa: perché oltre quel portone non si è trovato chi NON POTEVA NON SAPERE. Ma anche in questo caso la verità sarebbe solo parziale, perché se fino ad ieri poteva avere un significato la difesa della propria impunità oltre quella della propria diversità morale, oggi, dopo che Donegaglia (ex grosso dirigente delle Coop rosse) ha deciso di aprire il rubinetto dei propri racconti svelando i meccanismi della corruzione rossa, non lo si capisce più.

O forse tutto va ricondotto al fatto che Violante non è più visibilmente accreditato come referente unico del fronte giudiziario, ed al suo posto si è insediato il nostro piccolissimo nuovo Torquemada che però pensa solo a rafforzare il proprio ruolo nel Paese disinteressandosi d’altro. Ma anche se non lo facesse, l’esperienza dimostra, ch’è difficile tenere sotto controllo un ordine diventato ormai oggettivamente incontrollabile.

I prossimi giorni forse sveleranno tanti misteri, per adesso bisogna accontentarsi del fatto che il dibattito sulla giustizia non è più recintato nelle riserve indiane ma si è librato in ogni direzione. E questo fa ben sperare sullo sgretolamento del fronte della conservazione nella difesa di ruoli e privilegi di casta.

Intanto dobbiamo un grazie di cuore al dipietrino, delfino o trota che sia, perché ha contribuito, e non poco, a questo risultato. Quelle telefonate fatte al dott. Mautone hanno aperto, al grande pubblico, uno spiraglio illuminante sulla differenza tra predicare e razzolare, e sulla differenza tra democrazia praticata e predicata. In quella praticata il controllo spetta al popolo, nel secondo caso spetta solo a chi ha la furbizia di costruirsi strutture con proconsoli parentali, o partiti con speciali statuti.

Ma la storia del giustiziere della notte, Antonio Di Pietro, è intessuta di altre vicende ed altri misteri. No, non parliamo né della Mercedes ricevuta, né del prestito di 100 milioni a tasso zero, né dell’appartamento avuto in affitto dalla Cariplo a Milano e ceduto al proprio figliolo, né degli immobili comprati dalla An.to.cri. (Anna, Totò, Cristiano, il trittico Di Pietro) e affittati all’IDV in varie zone d’Italia, ma parliamo del più importante dei misteri. Quello delle sue dimissioni dalla Magistratura, i cui motivi rimangono ancora ignoti, e chissà se in essi non ci sia la chiave per leggere la sudditanza di Veltroni e del PD all’egemonia dipietresca.

Nei giorni scorsi, il picconatore per eccellenza, l’emerito Presidente della Repubblica Francesco Cossiga , solitamente ben informato (forse per i suoi trascorsi gomito a gomito con i servizi segreti di questo Paese), lo spronava a confessare il perché di quell’abbandono, ricordandogli che lui (Cossiga) ne era a conoscenza, ma che, oggi, preferiva evitare di renderlo pubblico. E’ augurabile che non ci faccia aspettare molto.

Giovanni ALVARO

Reggio Calabria 30.12.2008

DEL TURCO, IL TEMPO E’ SEMPRE GALANTUOMO

L’arresto di Ottaviano Del Turco è l’ennesima vicenda choc che ripropone l’urgenza di una profonda riforma del sistema giudiziario italiano. Ancora una volta tintinnano le manette e solo fra alcuni anni sapremo se legittimamente o meno. Intanto un cittadino senza, ancora, un giudizio finisce dietro le sbarre, e le prime pagine dei giornali, com’è naturale visto il personaggio, sono piene di titoloni. La vicenda, però, se non si è come Di Pietro, offre spunti per una riflessione che va aldilà degli schieramenti l’un contro l’altro armati.

E vediamo perché, partendo da una semplice domanda che merita una altrettanto semplicissima risposta. Perché è stato arrestato Ottaviano Del Turco? Qual’era la necessità che ha spinto pm e gip a privarlo della libertà? Francamente sembra impossibile rispondere a queste semplici domande. Ma se rifiutiamo la lettura del sen. Francesco Cossiga che sostiene essere ‘un avviso a Veltroni e a sua moglie’, bisogna rifarsi a quello che pensa la gente comune in questo nostro martoriato Paese, e cioè al solito trito e ritrito protagonismo di alcuni magistrati.

L’arresto in Italia è previsto solo, e sottolineo solo , in fragranza di reato ex art. 380 ccp, e, negli altri casi, se c’è pericolo di fuga, pericolo di inquinamento delle prove e pericolosità sociale. Tre ipotesi assolutamente inesistenti nel caso specifico: niente fuga (se avesse dovuto farlo lo avrebbe fatto da tempo dato che le indagini sono in corso da parecchio), impossibile inquinare le prove (essendo l’inquisito sotto i riflettori delle indagini), e niente pericolosità sociale (non si tratta chiaramente di un mafioso o un camorrista). Ma intanto è stato lo stesso sbattuto dietro le sbarre di un carcere. Non ha ragione Silvio Berlusconi quando dice che ‘bisogna riformare la giustizia ad imis, cioè in modo radicale’?

Ne sono convinti un po’ tutti, ma l’atteggiamento ostile contro il premier è tale che dopo aver criticato aspramente l’atteggiamento di Berlusconi teso a sfruttare tutte le palle al balzo, si afferma, nei fatti, che l’arresto era inutile ed eccessivo. Illuminante in questa direzione quanto sentito in una nota trasmissione radiofonica, ieri sera, dove le arrampicate sugli specchi sono state una operazione incredibilmente faticosa. Dissentire in modo netto da Silvio Berlusconi, ma non potergli dar torto nei fatti è l’ultima trovata dei commentatori di sinistra.

Nella vicenda, comunque, ci rifiutiamo di schierarci pro o contro l’innocenza di Del Turco. Non è questo in discussione, quanto l’uso spregiudicato che si fa dei poteri giudiziari. Ottaviano Del Turco, come ricordano i socialisti, fu il ‘liquidatore’ del vecchio PSI craxiano, il suo ‘necroforo’ ufficiale. La ‘liquidazione’ fu condotta, assieme a Giorgio Benvenuto, con tale acrimonia e tale veemenza (‘non mi stupisco affatto dell’esistenza del partito degli affari nel PSI’ disse) che mise in difficoltà molti militanti sulla possibile colpevolezza di Bettino Craxi. Ma il tempo è stato galantuomo, e le mascalzonate si sono rivelate per quello che erano effettivamente.

La vicenda offre, comunque, l’occasione per una considerazione. Se Del Turco, oggi, dovesse risultare colpevole, le parole pronunciate ieri contro Craxi, erano solo un meschino personale paravento; se, al contrario, dovesse, come ci auguriamo, risultare innocente, credo che finalmente capirà lo stato d’animo di chi, come Bettino Craxi, subiva la gogna mediatica dell’allora vincente pool di Milano, e doveva ‘sopportare’ le insinuazioni di un proprio ingrato compagno di partito.

Giovanni ALVARO

Reggio Calabria 15.7.2008