Edizione 141 del 09-07-2008
Il successo di un congresso che non si doveva fare
Resurrezione socialista
di Biagio Marzo
Rino Formica, che è uno che non le manda a dire, aveva affermato ( il Riformista), da par suo, che non
era proprio il caso che si svolgesse il Congresso socialista. Probabilmente, per il fatto che i risultati
elettorali non avevano permesso al Ps di eleggere un gruppo parlamentare e visto che lo svolgimento
delle assise locali non avevano alimentato un dibattito politico. Anzi. Vero è che su parecchie cose
socialiste, ha ragione da vendere, epperò, è stato smentito in pieno, perché, a Montecatini, i socialisti
hanno dato il meglio di sé. Quello che hanno potuto fare e dare nelle condizioni in cui si trovano.
L’handicap di essere fuori dal Parlamento non è una cosa di poco conto. Tuttavia, è venuta fuori in modo
preponderante la voglia di lottare per ritornare sulla scena politica come attori, lungo la tradizione del
socialismo italiano. Si intende in modo nuovo, rompendo i vecchi schemi: non più lotta parlamentare,
ma lotta al fianco del cittadino in carne e ossa. Il che non significa che il Ps non abbia alcune “idee
forza†sul piano del programma di governo, con le quali aprire un confronto tanto con maggioranza
quanto con il resto dell’opposizione. Partito di governo e di movimento, per l’appunto. Per supplire
all’assenza dalle Camere, il Ps sceglie di gettarsi nell’esperienza movimentista, senza allontanarsi
dall’essere sinistra di governo.
Il tutto in chiave autonomista, garibaldina e corsara. Autonomista non come sinonimo di autosufficienza
che porta all’annullamento politico, ma alla libertà di essere fuori dai giochi delle due coalizioni in
campo, spinte artatamente per interessi di bottega al bipartitismo. Il quale è stato issato come bandiera
di combattimento da Berlusconi e Veltroni, perché entrambi, prendendo a pretesto il bene della
democrazia parlamentare e del Paese in particolare, hanno inneggiato al voto utile; insomma, al voto a
una delle due coalizioni. Ragion per cui, hanno svolto la campagna elettorale sull’onda della
semplificazione del sistema partitico, raccogliendo, immeritatamente, una messe di voti a scapito dei
partiti medi e piccoli, anziché approvare una legge elettorale meno oligarchica e partitocratica di quella
in vigore e senza svolgere minimamente un ragionamento politico secondo cui la Grande riforma è la
madre del rinnovamento istituzionale e politico italiano.
Garibaldina nel senso che i “Mille†socialisti rimasti in campo sono forza dinamica, pronti a tutto per
conquistare la terra perduta e per riscattarsi dall’onta delle sconfitte e delle offese subite. Consapevoli,
peraltro, che la loro storia è più grande dello 0,98% acquisito nell’ultima tornata elettorale. Corsara sta
per libertà di alleanze negli enti locali, non avendo nessuno contrattato alcun impegno con nessuno.
Seppure guerra di corsa, il vascello Ps deve navigare in mare aperto, seguendo la rotta riformista: da un
lato il Pd, dall’altro l’Udc, senza sottrarsi al confronto con le altre forze riformiste tra cui quelle di origine
socialista presenti nel Pdl. Argomento, questo, sul quale si è battuto molto Gianni De Michelis e si è
speso Bobo Craxi. Una bella scommessa non c’è che dire e Nencini è cosciente che per vincerla bisogna
partire dalle sfide, che sono il pane del socialismo, senza le quali esso sarebbe un reperto archeologico.
La fine che rischia di fare la socialdemocrazia se non riuscirà a rinnovarsi sul piano culturale, politico e
programmatico. E comunque, è iniziato il periodo post Sdi-Boselli, con la nascita del Ps e con l’elezione
di Nencini a segretario. A Enrico Boselli vanno riconosciuti meriti e demeriti. In primo luogo, per essersi
battuto per l’unità , dopo un lungo periodo di diaspora; in secondo luogo, per non aver accettato il diktat
di Veltroni di passare armi e bagagli nel Pd.
Naturalmente, questo avrebbe comportato la fine della peculiarità , del ruolo e della funzione dei
socialisti italiani. Finché questi sono vivi e vegeti, benché a ranghi ridotti, restano una spina nel fianco
del Pd e non solo. Con l’intento che il sogno possa trasformarsi in realtà al più presto, e che l’Italia abbia
bisogno di socialismo. I demeriti di Boselli. Soprattutto uno: di aver insistito su una linea politica che
non era nel Dna del socialismo italiano. Piuttosto che rubarla senza successo a Pannella, avrebbe potuto
riproporgli la Rosa nel Pugno, facendo di necessità virtù. Comunque sia, già i buoi erano scappati dalla
stalla. Alla fine i socialisti soli soletti e i radicali in un compagnia. Una compagnia scomoda, quella del
Pd, e fuori dalla loro cultura politica, ma comoda per essere eletti e per affermare, dopo le elezioni, di
essere una delegazione nel Pd. Come se il Pd fosse una sorta di Onu. A Boselli va addebitato un altro
demerito. Il fallimento della Costituente prodromo del flop elettorale. E qui c’è la responsabilitÃ
personale anche del comitato costituente, che ha lasciato fare e disfare a Boselli come ha voluto, senza
mai opporsi, compresa la sua candidatura alla premiership.
Un comitato che ha peccato di deficit politico e di una visione strategica d’insieme sul futuro della
questione socialista. Vale o no la pena battersi per le sue idee? Invece di volare alto, si sono viste le
prime smagliature nelle “Primarie delle ideeâ€. Un Convegno di cui non è restata traccia. A Montecatini,
proprio per la conduzione della Costituente, gli esponenti più in vista hanno lasciato le penne. Tutto il
potere ai soviet, senz’altro. Le luci si sono spente sul congresso di Montecatini ed è stato merito di
Riccardo Nencini aver saputo dare vigore all’azione e all’iniziativa socialista, vigore di cui, per la verità ,
si sentiva da molto tempo bisogno. Dopo Montecatini il Ps è entrato, finalmente, nel mercato politico e si
appresta a essere competitivo. Dio ce la mandi buona.
 Da L’Opinione