Una proposta e un appello prima dello rottura. Mauro Del Bue

Uso toni forti volutamente, perché vedo che siamo ormai a un passo dalla definitiva divisione. E si tratterebbe di una divisione traumatica, non solo politica. Una separazione che porterebbe con sé molti lividi, molte ferite. Ho tentato in questa fase di fare di tutto per tenere unita la nostra piccola comunità, non perchè ritenessi l’unità un valore a sé, ma perchè non capivo il senso delle divisioni, sulle quali più oltre tornerò. Ho tentato di dare il meglio di me stesso non solo nell’attività parlamentare, ma anche in quella di partito, anche perchè sono stato eletto grazie a questa piccola comunità alla Camera dei deputati e mi sono sentito in dovere, dopo avere assaporato la gioia di una rinascita personale, di operare per evitare, subito dopo, la sua implosione e distruzione. Ho scritto tre documenti votati all’unanimità, dal Consiglio nazionale di luglio, dalla direzione di autunno e dalla segreteria di marzo. Non pensavo che si trattasse di carta straccia, ma di atti ufficiali, ai quali tutti dovevamo attenerci. C’è stato, è vero, un Consiglio nazionale dominato dalla baraonda, che però si è concluso con un altro documento votato pressoché all’unanimità e sottoscritto da tutti i membri del Comitato esecutivo, per la convocazione di un congresso a fine giugno (come proponeva il segretario De Michelis e non ad aprile, come proponeva Stefano Caldoro). Poi ci sono state contestazioni da parte di alcuni segretari regionali rispetto alla composizione della Commissione di garanzia. E in ottemperanza al documento approvato che postulava l’eventualità di un allargamento della stessa da parte del Comitato esecutivo, lo stesso esecutivo arrivava a delegare i segretari di proporre una quota deliberata all’unanimità. Cosa che non si è rivelata possibile, essendo i segretari regionali direttamente coinvolti nel dibattito e nelle divisioni del partito. La commissione di garanzia si è poi riunita e si è data delle regole attraverso un documento, a sua volta contestato da una parte (maggioritaria o minoritaria poco importa) di segretari regionali. A questo punto il segretario del partito ha deciso di riconvocare il Consiglio nazionale, adducendo il motivo che la commissione aveva il compito di deliberare le norme di un congresso unitario e non già di un congresso a mozioni. Questi sono i fatti nudi e crudi, incontestabili, credo. Alla luce di questi fatti ecco quello che accadrà. La riunione del Consiglio nazionale, alla quale non parteciperanno quei compagni che non la ritengono legittima, potrà deliberare lo spostamento del congresso o nominare altra commissione di garanzia o integrare quella esistente. Coloro che non ritengono legittima la sua convocazione perché, alla luce del documento approvato, il Consiglio nazionale era stato sciolto, impugneranno tali decisioni. Forse si finirà ancora in Tribunale (già si è parlato di un atto di impugnazione avanzato dal compagno Catrambone per annullare la deliberazione precedente). Sindrome di Stoccolma dei socialisti… La nostra comunità subirà altri smacchi pubblici (di noi si rischia di parlare solo come elemento di cronaca nera…). Siamo dunque di fronte a un precipizio. Per questo ho deciso di scrivere queste note e fare una considerazione e un appello. La considerazione è politica. Vedo che ci sono alcuni compagni che affrontano il problema della Costituente socialista come negli anni settanta si affrontava la questione dell’alternativa. Come se fosse uno slogan e forse anche come strumento di caratterizzazione e di lotta politica interna. Specifichiamo allora una volta per tutte la nostra posizione assunta all’unanimità (e che De Michelis ha forzato con quel “Io sarò con voi coi pochi che mi seguiranno” al Congresso dello Sdi). Noi abbiamo posto dei paletti alla Costituente, che devono rimanere validi per tutti e che personalmente, ma devo dire anche De Michelis, ho sostenuto alla riunione di giovedì pomeriggio alla quale hanno partecipato anche Villetti, Turci e Caldarola, trovando notevole disponibilità, soprattutto negli ultimi due. Non si potrà costruire un nuovo partito socialista con noi, se esso avverrà nell’ambito di questo sistema elettorale e imporrà il nostro passaggio a sostegno di questo governo. Ricordate? Mai in questa legislatura e con questo governo. Ciò significava che a fine legislatura o a fronte di un altro governo tutto poteva cambiare. La dobbiamo smettere di inventarci la politica a nostro piacimento. Siamo in questa legislatura e c’è il governo Prodi. Esiste ancora un sistema bipolare e non c’è il modello tedesco (l’ultima proposta dei Ds è il ritorno al Mattarellum). Su questo tutti ci eravamo detti d’accordo, no? Qualcosa è cambiato? Lo potrebbe essere se la divisione passasse tra chi propone di cambiare campo e, dall’altro lato, chi propone il ritorno organico nella Casa delle libertà, senza l’Udc. Ma ufficialmente nessuno nel partito propone né l’una né l’altra cosa. Eppure il clima è diventato talmente pesante che non solo è difficile discutere, ma si minacciano ormai quotidianamente ricorsi giudiziari. Evidentemente la politica c’entra fino a un certo punto. E allora dobbiamo essere chiari anche su questo. L’estate scorsa, dopo le elezioni politiche, il segretario De Michelis ci propose una sorta di rinnovamento al vertice del partito, per tenerlo unito e per utilizzare al meglio una risorsa politica primaria che, non per colpa sua, ma per la ruota della fortuna che gira a volte a favore dell’uno e a volte dell’altro, si era ritrovato a casa, dopo avere fatto il ministro e aver rifiutato di entrare nel diritto di tribuna di Forza Italia con elezione garantita (al contrario di Moroni e Ricevuto). Caldoro alla segreteria e De Michelis alla presidenza, come nel Pri Nucara e La Malfa. La leadership di De Michelis non avrebbe subito nessuna penalità. Si disse: Pannella non è segretario, Casini non è segretario. Oltretutto, ho pensato, un po’ di rinnovamento non avrebbe stonato in un partito che certo non può vivere accentrando tutto nella stessa persona, cosa che ormai non avviene né nei partiti più grandi né in quelli più piccoli di noi. E questo a prescindere dalla stima e dai meriti storici di Gianni, che tutti, compreso Stefano, gli riconobbero. Si disse, prima dobbiamo fare i documenti politici. Prima la politica, poi il resto. Giusto. Cominciammo in estate col Consiglio nazionale finito all’unanimità, continuammo col seminario di Orvieto, concluso all’unanimità, procedemmo con la direzione di autunno, anch’essa conclusa all’unanimità. Si disse: Caldoro ha un’altra posizione politica. Quasi invitandolo ad assumerla ufficialmente. Oppure: firma i documenti, ma in realtà la pensa in altro modo. E qui si entra nella dimensione psicanalitica a fronte della quale non si può che alzare le braccia. In realtà si formò nel partito una componente contraria all’elezione di Stefano. Questa è la verità. E si cambiò idea, certo approfittando anche di posizioni (il no a Bertinoro) che hanno finito per portare Caldoro ad esprimere una contrarietà a mio giudizio assai discutibile a un convegno al quale ho personalmente partecipato con interesse e anche entusiasmo. Poi si arrivò al Consiglio di marzo e allo scandaloso conflitto, che per primo ho denunciato pubblicamente. In quella circostanza un compagno mi disse, eccitato: “E’ colpa tua e dei tuoi ambigui documenti”. Questo compagno ha inteso trasformare quello che pensavo essere un merito in una colpa. Pazienza. C’è sempre, spazio, mi disse un vecchio dirigente siciliano, per nuovi emergenti quando arrivano le alluvioni. Poi però si finisce sott’acqua tutti.
Possiamo ancora salvare il salvabile, e soprattutto vogliamo salvare il salvabile? Questo chiedo a tutti. in particolare confidando nella volontà del segretario del partito, che è il principale esponente e dunque deve assumersi appieno la sua responsabilità. La mia proposta parte dalla possibilità di ricomporre una linea politica unitaria, perchè dividerci oggi potrebbe significare non unirci mai più. Ed è sintomatico che ogni volta che si parla di unità socialista si divida irrimediabilmente il Nuovo Psi. L’unità che produce divisione rappresenta per noi il paradosso politico più deprimente, l’ossimoro più sconcertante, forse una condanna del destino. Deponiamo le asce di guerra e lasciamo che i tribunali facciano il loro lavoro (ne hanno tanto, purtroppo). Rilanciamo e realizziamo insieme il patto dell’estate scorsa, con un duopolio politico di emergenza alla guida del partito, da votare attraverso un nuovo Consiglio nazionale e da sancire in un Congresso unitario, da convocare a giugno assieme a un documento politico che riprenda i famosi tre punti (sì al cantiere della costituente socialista, no all’Unione e al governo Prodi, sì alla legge elettorale alla tedesca), ricomponiamo l’unità interna in attesa delle future scelte, oggi non mature. E intanto sospendiamo Consigli e Congressi di conta. E se non accettiamo questa idea troviamone un’altra che sia migliore e che meglio garantisca la nostra comunità. E in quest’ultima settimana smettiamo di litigare sul sito e concentriamoci sulle elezioni amministrative di domenica dove tanti compagni hanno presentato liste e candidature e meritano il nostro rispetto e il nostro sostegno. Al di fuori di questa possibilità non vedo altro che una frattura, l’ennesima dopo quella del 2001 e del 2005, con gli stessi identici strascichi. Personalmente mi sono battuto anche per scongiurare quelle di allora (l’ultima per noi è stata la più pesante e pagata a caro pezzo elettorale per il clamore negativo suscitato, anche se, almeno, motivata da una contrapposta scelta elettorale), mentre in troppi. anche al nostro interno, esultano come gli ultras di uno stadio ogni volta che il nostro atomo si divide. E non mi pare che abbiano nel frattempo inventato nuove formule fisiche per far vivere più agevolmente le sue parti disarticolate. In troppi parlano di questa nostra piccola comunità come di un partito vero, dove si possano fare congressi e consigli nazionali per stabilire maggioranze e minoranze. A parte il fatto che, come il Congresso dei Ds ci ha insegnato, ormai le minoranze nei partiti non esistono più perché se ne vanno, noi non siamo un partito come i Ds. Siamo una piccola comunità con soli due parlamentari italiani e due europei e con meno dell’1% di voti, senza finanziamento e con un quotidiano ancora da finanziare e al centro, a sua volta, di una forte polemica. Potremmo noi assumerci la responsabilità di trasformare la tragedia socialista in una ennesima commedia? Guardate che non c’è niente di peggio che passare dal tragico al comico… Noi non possiamo solo pensare a come ci giudichiamo da soli. Ma soprattutto a come ci giudicano gli altri. E se la nostra comunità riesce perfino a rompersi a fronte di una situazione politica tutt’altro che statica, ma in assoluto movimento, e i cui esiti sono ancora ignoti, se oggi non siamo chiamati a dividerci su una scelta chiara e riusciamo tuttavia a dividerci lo stesso, compiamo un miracolo negativo, le cui proporzioni si riveleranno tanto più assurde, quanto più pesanti per tutti. Abbiamo tutti tale consapevolezza? Lo spero ancora.

Mauro Del Bue

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Redazione

La redazione di Pensiero Socialista

2 commenti su “Una proposta e un appello prima dello rottura. Mauro Del Bue”

  1. Forza Mauro!
    Dobbiamo crederci tutti, possiamo ancora vivere e ne abbiamo tutti i diritti!

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